Una barriera corallina? No, solo una biocostruzione: il coralligeno

di Ferdinando Boero

La notizia della scoperta di una barriera corallina a 50 m di profondità lungo la costa pugliese sta facendo il giro dei media, come una valanga. Le formazioni coralline presenti ai tropici si chiamano “barriere” perché formano sbarramenti che quasi affiorano. Quelle che sorgevano attorno ad antichi vulcani hanno portato alla formazione degli atolli. Non c’è niente del genere in Mediterraneo. La “sensazionale scoperta” altro non è che una biocostruzione: una sopraelevazione del fondo dovuta ad organismi che formano scheletri e che crescono gli uni sugli altri, proprio come fanno i coralli delle barriere coralline. Lungo le coste italiane vivono diversi tipi di biocostruzioni, oggetto di un recente progetto di rilevante interesse nazionale che li ha mappati lungo tutte le nostre coste. Quello trovato lungo la costa pugliese altro non è che una rimarchevole espressione del ben noto “coralligeno”, studiato sin dagli anni cinquanta.

Si chiama coralligeno perché, prima che i prelievi ne depauperarono le popolazioni, quell’ambiente “generava” il corallo rosso, ben noto in gioielleria. I coralli delle formazioni coralline, e anche quelli segnalati in Puglia, sono madrepore, e non hanno nulla a che vedere con il corallo rosso, anche se entrambi appartengono alla stessa classe di organismi: gli antozoi. Lungo le coste pugliesi, nella parte profonda dell’Adriatico e nello Ionio, sono state scoperte, qualche anno fa, formazioni coralline che vivono a circa 500 m di profondità. Per non parlare di intere “foreste” di gorgonie e antipatari (sempre appartenenti alla classe degli antozoi) recentemente scoperte lungo le coste calabresi. O le montagne sottomarine, anch’esse esplorate solo in tempi recenti, dove si stanno scoprendo, grazie ai sottomarini da ricerca, importanti espressioni della biodiversità. 

Nulla a che vedere, comunque, con le barriere coralline tropicali, presenti solo a basse profondità perché i coralli che le formano vivono in stretta simbiosi con alghe unicellulari che li trasformano in animali fotosintetici. A maggiori profondità questa simbiosi non può attuarsi perché la luce non è sufficiente a garantire i processi fotosintetici. 

Ma le barriere coralline tropicali potrebbero vivere in Mediterraneo? In effetti stanno entrando moltissime specie tropicali attraverso il Canale di Suez. La grande barriera corallina australiana sta morendo per il troppo caldo e gli organismi “fuggono” dalle zone diventate ostili e vanno a cercare condizioni migliori. Le trovano in Mediterraneo, dove prima arrivano le specie più mobili, come pesci, meduse, crostacei ma stanno arrivando anche le alghe e ora inizia a comparire, di fronte ad Israele, qualche corallo tropicale. Queste specie sono trattate come invasori ma, in effetti, si tratta di rifugiati climatici. Il riscaldamento globale che li uccide ai tropici sta rendendo il Mediterraneo sempre più ideale per lo sviluppo di organismi tropicali. E quindi sì, forse arriveremo ad avere persino barriere coralline in Mediterraneo, ben diverse comunque da quelle scoperte in Puglia. Il mare ha ancora tantissime cose da rivelarci e cambia in continuazione. Per richiamare l’attenzione sulla vita marina siamo costretti a gonfiare le notizie e a renderle sensazionali, sperando di attirare un po’ d’attenzione da parte di chi decide come investire i fondi per la ricerca. Visto che se ne investono moltissimi per cercare pianeti dove trasferirci dopo che avremo distrutto questo (una panzana galattica!) purtroppo siamo costretti a mettere in atto questi espedienti. 

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” e “Secolo XIX” di domenica 10 marzo 2019]

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