di Maurizio Nocera
Luigi De Giovanni è un pittore dalle cento e uno tecniche miste, tutte di straordinaria bellezza. I dipinti di De Giovanni, che da decenni vive in Sardegna, tra l’altro e spesso ritraggono immagini del Salento, sua terra di origine, un Salento visto con gli occhi di chi riesce a interpretarlo con i colori della vita. Molte sue opere riprendono, con uno stile originalissimo, la natura e le emozioni che da essa scaturiscono. Fondamentalmente sono noumeniche visioni che solo un estro sperimentato sa produrre.
Giustamente è stato scritto che De Giovanni parte da una spinta fondamentalmente «impressionista, dal tratto espressionista, per giungere all’informale, nelle tecniche miste e nei jeans (l’artista recupera vecchi jeans, per lo più già usati, e con essi “costruisce” il dipinto). Il suo è il mondo della luce che vibra nel colore che dà forma. È la spiritualità, è il pathos che si palesa nelle opere: suggestioni ed emozioni d’attimi che vengono fermate nel dipinto. È come se avvertisse il genius loci e con esso interloquisse comunicandolo nell’espressività delle pennellate e del colore. L’artista, preso dalla furia creativa, con i colori e i pennelli, aggredisce la tela bianca ricercando una pacificazione che non trova. La sua è una catarsi gestuale e intellettiva che dura il tempo della creazione dell’opera: un’esigenza interiore di ricerca continua. Il suo spirito inquieto trova significato nella pittura e con la pittura» (Federica Murgia).
Toti Carpentieri, il critico salentino più attrezzato tecnicamente per la giusta interpretazione delle opere d’arte degli artisti salentini, scrive che «è sulla suggestione delle presenze floreali che Luigi De Giovanni manifesta il suo essere pittore […] anche se certe immagini […] nelle quali la natura diviene segno, consentendo alla gestualità di appropriarsi dell’opera in tutta la sua interezza e significazione, sembrano aprire a nuove e personali soluzioni. E in un rincorrersi di bianchi e di blu, di rossi e di gialli, di aranci, di verdi, di viola, di infinite variazioni cerulee e trasparenze ialine, il pittore costruisce – grazie ad una particolare sensibilità compositiva – giardini immaginari […] al limite dell’astrazione, fermando così sulla tela financo le fioriture troppo brevi e consentendo alla luce – protagonista assoluta delle sue opere – di manifestarsi, tra forme e colori, come il corpo stesso della materia. In una sorta di permanente e riprovata fedeltà alla natura che, svelando e testimoniando la bellezza, sembra accrescere ogni plausibile coinvolgimento sensoriale, fino a farci percepire […] quel “tenue profumo di primavera” di cui scriveva Nicola Lisi, vivace reminiscenza di un’età ormai divenuta memoria» (cfr. «ArteLuoghi», anno 2, n. 5, luglio/agosto 2006, p. 17).
Risale al 2006 l’ultimo catalogo (curato da Paolo Levi) della mostra che Luigi De Giovanni tenne alla Galleria d’arte “Mentana” di Firenze, nel quale figurano scritti di diversi critici d’arte. Ad apertura, la gallerista Giovanna Laura Adreani afferma con grande schiettezza che «solo quando [si è] resa pienamente conto di quanto fosse bello e intimamente complesso il modo di comunicare di De Giovanni con il mondo esterno, [si è] accorta di essere entrata a far parte dell’universo dell’artista». Un universo, come lei stessa scrive, fatto di silenzi e di pause riflessive, insomma una sorta di «lessico familiare», che porta la gallerista «a stabilire un rapporto non superficiale, fatto di consonanze interiori, ma anche di silenzi significante» (p. 5).
Colpisce poi quanto scrive lo stesso curatore del catalogo, il quale è «convinto che il pittore dedito nel suo racconto figurale alla natura è messaggero di una cultura, in cui il sentimento predomina ancor prima dell’esecuzione dell’opera. Con questa attitudine atemporale ed acronologica […] l’artista, romantico e ed intimista, porta in luce con sguardo meticoloso gli angoli più solari di una campagna che palpita di colori, di riflessi luminosi, di orizzonti lontani, dove l’occhio ormai si perde in un’onirica trasfigurazione. […] La natura di Luigi De Giovanni è una dèa presente e trasfigurata in alberi, rami, verzure, per qual tanto di onirico e di simbolico che l’assenza di presenza umane conferisce al quadro. […] Sono opere, le sue, dove ogni passaggio cromatico, ogni gioco di segno col pennello, porta in luce tracce di saggezza e di poesia» (Paolo Levi, pp. 9-11).
Poesia, magica parola che colpisce il cuore. Majakovski scriveva che nel linguaggio degli umani la vera rivoluzione si compie soprattutto attraverso il momento poetico. E nell’opera di De Giovanni c’è tanta poesia, che, attraversando l’intero arcobaleno dell’esistenza, riesce poi ad entrare dentro gli spazi cromatici della coscienza e a cogliere il senso vero dell’idea dell’arte. Appunto l’idea che, come scrive Mauro Manunza: «L’arte ha bisogno dell’idea. Tutto il resto è supporto, strumento. Un paesaggio, un nudo, una natura morta, un cavallo, una barca, un fiore, una folla, un muro deturpato, o un lampo; sono forme, luci, colori, consuetudini acquisite che possono tradursi in espressioni pittoriche se filtrate dal sentimento prima ancora che dall’occhio. L’arte è emozione che diventa materia oltre la materia» (p. 21).
Dunque arte come emozione. Ed è quanto accade all’osservatore, quando viene a trovarsi davanti ad uno di questi stupendi dipinti a fiori, dove lo sguardo, ad un certo punto dell’oltrepassamento, sconfina oltre l’esile cornice per andare a confondersi nei campi incolti di prati salentini, dove il fuoco d’artificio dei papaveri esplode nell’effervescenza della mente, confondendo passioni, sentimenti, trasporti d’animo, pieghe dello spirito che l’artista poi converte in colore, in materia che trabocca dalla tela o dal jeans dipinto e trattato con tecniche miste. Appunto i jeans. Si tratta di vecchi pantaloni dismessi che l’artista tratta con colori e opacità alla Burri, ma anche con spacchi alla Lucio Fontana, interrotti e inframmezzate da lettere dall’alfabeto ma anche da altri elementi architettonici che ne fanno delle opere originalissime, sulle quali l’artista riesce a concentrare l’arte manifestatasi durante tutto il secolo XX°.
In De Govanni «colori diversi esprimono stati d’animo differenti e il colore dell’immaginazione è condizionato dal contenuto della scena. Il colore di una scena cambia a seconda del sentimento che ci percorre. Finché i sentimenti si assorbono nell’immagine e nel colore, senza più pesi separati» (Nicola Nuti, p. 30).
Ecco, Luigi De Govanni è questo: un pittore la cui arte emoziona, scrolla sentimenti, sfiora come una carezza il volto dell’osservatore, che guarda la sua opera in transe, facendogli fare un viaggio del tutto particolare attraverso cieli di fiori viariopinti.
(2007)