di Augusto Benemeglio
Ricevo una mail con da un amico che mi dice, Guarda che la morte di Salvatore Toma non fu a causa del suo alcolismo ( cirrosi ), ma per una puntura fatale che gli fu somministrata in ospedale, a Maglie. E questo tengono a sottolinearlo sia la moglie del poeta , Paola, che la figlia, Tebe. Come sappiamo, nel caso del poeta magliese, si parlò anche di “suicidio”, e questo aspetto fu posto in primo piano dalla scrittrice e letterata Maria Corti, colei che fece pubblicare, postume, le poesie di Toma dall’editore Einaudi, con il titolo “Il canzoniere della morte”, che sembrava una sorta di manifesto-dichiarazione al riguardo, anche se sappiamo bene che il poeta – come disse Pessoa – è un “fingitore”. La cosa fece inquietare (per usare un eufemismo) molto il prof. De Donno, insigne studioso e poeta dialettale magliese come Toma, il quale me lo disse esplicitamente in occasione di una trasmissione culturale che conducevo a Teleonda Gallipoli: “Quella della Corti è stata un po’ una forzatura; voler trovare ad ogni costo il maudit italiano in Totò Toma”.
Per me Toma è quello che ho già descritto in una recensione pubblicata a suo tempo su “Espresso Sud”, di cui riporto l’inizio: “”C’è stato un tempo in cui il Salento è stato tempio della memoria ancestrale , primo mattino del mondo, Eden silenzioso, dove forse non c’è Dio, ma un’attesa di Dio. Si sta aspettando Dio, come in “Aspettando Godot”. Intanto gli aborigeni , deposte le armi, se ne stanno intanati nella grotta dei Cervi, a eternare la loro memoria in quella forse unica strana misteriosa felicità data dal colore dei primi graffiti. Ed è qui, idealmente, in questo panorama d’innocenza ricuperato, che Salvatore Toma fa muovere la sua penna a biro, rigorosamente colorata , azzurra ,o, preferibilmente rossa. E’ qui che il poeta di Maglie descrive una nuova umanità , “Il rosso salento”,che non è quella del vino, ma del sangue. Ma nei suoi versi c’è anche l’informe, il caos eterno, l’assoluto più lontano, l’estraneità più impenetrabile e esclusiva, l’auto-emarginazione, l’isolamento da terra di frontiera, il deserto .Toma porta la sua dilacerante esplosione espressionista, quel gioco tra sospensione–rassegnazione e melanconia-sogno-pigrizia, che è tipico della realtà salentina e di tutti gli altri poeti e pittori “ maledetti” che fanno parte di quella costellazione novecentesca, di “seminale nuclearità salentina”, di cui parla Donato Valli, contrassegnata da una profonda e irrevocabile inquietudine che li esagita e li porta ad un estremismo espressionistico-azionistico virulento.“Porta – dice Valli – “tre dilemmi mentali : il rapporto vita-morte, il rapporto uomo-animale, il rapporto sogno-realtà.
Io sapevo che la causa della sua morte fosse dovuto a “cirrosi” ( che Toma fosse alcolista lo sapevano tutti, credo), che per molti rimane la più accredita. Tuttavia ringrazio l’amico che mi ha scritto per farmi conoscere la vera causa del suo decesso, e chiedo scusa ai suoi familiari per l’errore in cui sono incorso, ma ciò non credo che sposti di una virgola quanto già detto della sua poesia.
Toma fu un genio. Uno dei rarissimi poeti contemporanei che aveva compreso il significato della vita e della morte. Che la terra gli sia più lieve delle sue poesie intrise di disperazione.