di Augusto Benemeglio
Negli anni sessanta Federico Fellini fu invitato a Gallipoli, presso il Lido San Giovanni, dove c’era un psicologo dell’immaginale di valore assoluto come Dario Caggia, che avrebbe voluto conoscere. Si sapeva che Fellini era un patito della psicanalisi e a Roma aveva frequentato a lungo lo studio del professore tedesco Ernst Bernhardt, allievo di Jung, con cui era diventato grande amico: “Mi piaceva tutto di Bernhard: la strada dove abitava, l’ascensore che sembrava una stanza e saliva lento come una mongolfiera, e lo studio vasto, pieno di libri, con le finestre spalancate sui tetti di piazza di Spagna. Ascoltava le mie sgangherate confessioni, i sogni, le bugie, con un sorrisetto gentile, carico di affettuosa ironia…”. Praticamente “Otto e mezzo” fu girato in questo stato d’animo particolare, Fellini sperimentò – sotto controllo medico – perfino LSD e la droga.
Federico a Gallipoli non ci venne mai, né allora, né in seguito, fece invece una breve escursione segreta a Lecce, e da lì si recò a Palmariggi, dov’è il Santuario della Vergine. Ci andò su insistenza della pia e devotissima moglie, Giulietta Masina, ma in chiesa neppure entrò. Rimase fuori, andò nella pineta e vide il dramma delle cicale alla fine dell’estate. Tante cicale morte, ai piedi degli alberi, tra gli aghi dei pini, a centinaia, a migliaia, bianchicce, molli, gonfie, scoppiate a forza di canti estivi. Ricordò quand’era bambino e le cercava quelle cicale della sua Romagna sugli alberi della pineta che lo inebriavano con il loro canto, cassa armonica e maestosa del silenzio, un santuario del silenzio, tra il verde e la polvere dove l’estate sembrava sprofondarsi divertita, ma non le trovò mai, non riuscì mai a vederle. Ed ecco che ora le cicale erano lì, ai suoi piedi, morte, tra la polvere del viale di Palmariggi, sporco e semiabbandonato, che poteva essere collocato in uno dei suoi sogni che poi diventavano film un po’ surreali, tipo “La Strada” .
Oggi il viale di Palmariggi è asfaltato, ci sono i giochi per i bambini, macchine, cartacce e rumori, la pineta è semicombusta, gli alberi curvi e malati e non si sente più il canto ineffabile delle cicale, quel canto che sapeva sollecitarti la fantasia e ti faceva fare delle divagazioni deliziose. Un tempo quelle cicale erano la poesia che veniva a sostare sugli alberi profumati, a strizzarti l’occhio, a dirti che la vita è una cosa bella, piena di amore e speranza, anche se la strada non conosceva l’asfalto e gli alberi erano impolverati e noi avevamo un solo vestito e un solo paio di scarpe.
Intanto, mentre la moglie Giulietta stava pregando al Santuario di Monte Vergine, come la prostituta Cabiria aveva fatto con la Madonna del Divino Amore, a Roma, Fellini continuava a guardare le cicale morte, che gli ricordarono “Gelsomina”, “Il Matto”, “Zampanò”. Quel film gli era costato caro. Aveva rischiato di fare la stessa fine delle cicale di Palmariggi: scoppiare. Pochi sanno che a soli venti giorni dalla conclusione, il regista era stato colpito da una grave forma di depressione, una specie di Cernobyl della psiche. Cosa era accaduto? Lo racconta lo stesso Federico: “Era come se qualcuno avesse spento la luce, uno svuotamento psicologico, una nube nera che sommerge l’umore e la volontà, un’opaca vertigine, la micidiale sublimazione di tutte le angosce provate da bambino. Mi sembrò che dovessi morire da un giorno all’altro, da un momento all’altro, fu come un black out totale”. Federico si ritira in camera, ma non riesce a dormire, le notti bianche si sommano alle giornate di lavoro e poi ancora notti bianche. Deve tirare avanti al limite della resistenza. Giulietta lo porta dal professore tedesco. Federico riesce a tranquillizzarsi e arrivare in fondo alla “Strada”. Se è vero che ciascuno di noi ha la sua fabula personale, non sempre facile da far emergere dai recessi dell’Es, questa rimane la favola più tipica, dolorosa ed enigmatica di Fellini. E ora si trova sulla “strada” di Palmariggi , ma è una strada diversa. Giulietta è appena uscita dalla chiesa, e non lo trova: lo chiama con un po’ d’angoscia nella voce, ma lui accorre subito. “Di nuovo in mezzo alla strada?”. Lui sorride : “No, in mezzo alla cicale”.