di Ferdinando Boero
Medicina a Unisalento, un vecchio sogno che sta ridiventando attuale, con non pochi contrasti. Qualche anno fa, il 17 luglio 2014, scrissi un articolo per il Quotidiano commentando una proposta analoga a quella odierna dove argomentavo: “Il Preside Eduardo Pascali auspica l’apertura di una Facoltà di Medicina presso l’Università del Salento. Non posso che concordare con lui. E non sarebbe neppure così difficile realizzare questo “sogno nel cassetto”. Abbiamo un grande ospedale, il Vito Fazzi. Potrebbe diventare un Policlinico. Perché spero che nessuno osi pensare di costruire un policlinico a fianco del Fazzi. Ci sono i primari, e gli aiuti e tutto il resto. Basta farli diventare docenti universitari e il gioco è fatto. Non possiamo pensare di bandire nuovi posti di ordinari e associati e quant’altro per far fronte alle esigenze della Facoltà di Medicina, e costruirle anche una nuova sede. L’unica cosa che manca è un bel complesso di aule. E quello si può costruire a fianco dell’Ospedale, c’è così tanto posto!” [Leggi l’intero articolo cliccando qui]
Bene o male è quel che si propone oggi e, quindi, non posso che essere d’accordo. Mi chiedo però cosa abbia da offrire Unisalento a questo progetto. Le valutazioni della ricerca della nostra Università hanno identificato un solo Dipartimento di Eccellenza, il DiSTeBA, ma l’eccellenza non è stata espressa per discipline di impostazione biomedica né, tantomeno, agraria. Ma l’Università si lancia in corsi di laurea come Enologia e Viticoltura, Scienze Motorie e, ora, Medicina. Per farlo si “allea” con l’Università di Bari che, in effetti, deve fornire la massa critica degli insegnamenti per questi nuovi corsi di laurea. Chi si oppone paventa che si eroderà il potenziale didattico e di ricerca attualmente operante a Unisalento, per investire su discipline a bassa copertura di personale, ma necessarie per i nuovi corsi. Il che potrebbe anche essere logico se l’erosione derivante dalle nuove coperture riguardasse discipline che non hanno conseguito ottime valutazioni della ricerca, e se i campi che si vogliono sviluppare fossero di assoluto prestigio a seguito delle valutazioni della ricerca, cioè se fossero alla base dell’eccellenza certificata a livello ministeriale. Così non è.
Quando arrivai qui 31 anni fa, la nostra Università era una succursale di quella di Bari, visto che molti docenti di quell’ateneo furono mandati a Lecce, a colonizzare. Nulla di male, se i “coloni” hanno a cuore il nuovo posto dove si sono insediati e non nutrono troppa nostalgia per l’ateneo di provenienza. Accadeva, invece, che la categoria dei pendolari, quelli che vengono per fare lezione e poi se ne tornano nella loro università di provenienza, fosse molto nutrita. Accadeva anche che i vincitori di concorsi banditi a Lecce se ne tornassero a casa dopo brevi periodi, a volte con frequentazioni leccesi molto esigue. Ci sono voluti molti anni per eliminare questi mali. Da diversi anni, una volta finita la fase di “rodaggio”, faccio la domanda: in quali campi l’Università del Salento ha acquisito una dimensione internazionale? Oramai le valutazioni e il successo nel coordinamento di progetti europei rendono facile l’identificazione di tali campi. Come rendono facile l’identificazione delle aree in cui abbiamo una dimensione nazionale, basta guardare il successo nel coordinamento di progetti di rilevante interesse nazionale. Lasciamo perdere i fondi regionali e provinciali che, purtroppo, hanno lasciato troppe cattedrali nel deserto alle proprie spalle e che, quasi invariabilmente, non sono andati alle aree con reputazione internazionale e nazionale.
Altri tempi. Oggi la politica ministeriale, con i Dipartimenti di Eccellenza, lancia un messaggio chiarissimo: le Università sono chiamate ad investire gli ingenti fondi rivenienti dall’eccellenza nel perseguimento di didattica di eccellenza, basata sulle discipline con eccellenza documentata dalle valutazioni. Lo so che la parola “eccellenza” è irritante, e la uso solo perché fa parte del lessico ministeriale. Il suo significato è ben chiaro: reputazione internazionale o, almeno, nazionale. È naturale che le Università tendano a promuovere potenzialità ancora inespresse, ma questo non può avvenire a spese delle eccellenze.
Il timore è che questo stia avvenendo, e le esperienze del passato mostrano che la strada ora imposta dal ministero non è stata perseguita in passato. La situazione è complessa e merita accurate analisi di costi e benefici. Disperdere su molti fronti un esercito esiguo può portare a esiti disastrosi, in assenza di grandi “rinforzi”. Intanto, le altre Università fanno acquisti nel personale di Unisalento e chiamano abilitati eccellenti che qui non vengono chiamati perché si perseguono disegni di sviluppo che non li prendono in considerazione. Disegni magari resi possibili dai risultati di chi è costretto ad andarsene per fare carriera.
Va benissimo collaborare con l’ateneo barese ma mi chiedo: in quanti corsi di laurea Unisalento fa la parte del leone e Bari ha un ruolo ancillare? Sono favorevolissimo alla costituzione di un’Università della Puglia, in cui Bari, Foggia, Lecce e anche Brindisi e Taranto, dove l’Università di Bari ha istituito dei caposaldi, siano parte di un unico sistema. Questo dovrebbe portare a lauree triennali condivise e presenti in modo quanto più diffuso possibile, e a lauree magistrali (preferibilmente in inglese, almeno nelle aree scientifico-tecniche) incentrate sulle eccellenze di ogni ateneo.
Pare che non sia questa la visione perseguita e che si tenda a istituire corsi di laurea “perché il territorio li chiede”, senza alcun nesso con la storia oramai pluridecennale dell’Università del Salento. Il velleitarismo che ha già fatto moltissimi danni continuerà a farne. Trovo scandaloso che la nostra Università abbia un solo Dipartimento di Eccellenza, per esempio, a fronte di enormi investimenti in molte direzioni, anche se soprattutto in termini edilizi. Un tempo si partiva con corsi a “costo zero” e poi si andava a chiedere al Ministero di risolvere situazioni insostenibili. Questa tattica non funziona più: il Ministero chiede di puntare sull’eccellenza presente in ogni sede, e dà finanziamenti rilevanti ai Dipartimenti di Eccellenza perché sviluppino didattica di eccellenza. Il messaggio è chiaro e inequivocabile, e il destino di chi non lo vorrà capire sarà la marginalizzazione e l’assorbimento da parte di chi, invece, ha capito.
Quando una delle maggiori eccellenze di Unisalento prese la via di Genova, per fondare l’Istituto Italiano di Tecnologie, la cosa passò sotto silenzio. Roberto Cingolani va via e non si innescano percorsi di riflessione, non si prefigurano azioni che mirino a ricostruire la realtà che, con il suo trasferimento, si trova improvvisamente orfana. Nessun commento. Nessun commento sul declino dell’ISUFI. Si continuano a proporre cose “nuove”, perché il “territorio le vuole”. Ora ci si accapiglia per Acquatina, altra occasione sprecata, assieme a molte altre.
Le Università, non smetterò mai di dirlo, non si fanno per il territorio. Non sono un servizio locale. I territori si saturano rapidamente di laureati e le Università che non siano di altissima qualità non diventano ascensori sociali ma fungono solo da ammortizzatori sociali. Il Salento deve attrarre studenti da tutto il mondo (ha l’ISUFI per questo) e deve offrire didattica di eccellenza. I salentini hanno diritto a seguire corsi eccellenti e non si devono accontentare di quel che passa il territorio, devono andare nelle Università migliori. E l’Università del Salento deve ambire ad essere tra quelle. Non lo potrà fare per tutte le discipline (nessuna Università eccelle in tutto) ma per alcune è in grado di farlo. Un’Università non si improvvisa, richiede decenni di lavoro e questo patrimonio di esperienza è presente nell’Università del Salento. Sarebbe un grave errore disperderlo per correre dietro a sogni poco realizzabili.
I candidati a Magnifico Rettore dovranno esprimersi chiaramente su questo, su questo si dovrebbe basare la loro campagna elettorale, e anche quella per il Consiglio di Amministrazione. Il Salento merita un’Università eccellente e il territorio dovrebbe chiedere questo: fate un’Università che attiri qui studenti da tutta Italia e anche dal resto del mondo, se ne siete capaci. Lasciate stare il territorio, abbiamo visto che la politica del piccolo cabotaggio non funziona: pensiamo in grande. Partite dall’ISUFI e dateci un’Università di livello nazionale, almeno.
Dico e scrivo queste cose da almeno 20 anni, totalmente inascoltato. Oramai il mio tempo è scaduto ma questa è la “mia” Università e ad essa tengo tantissimo, come tengo tantissimo al Salento. Mai come in questo caso mi piacerebbe avere torto e mi piacerebbe tanto che qualcuno mi dimostrasse che no, che quelle strade sono state fruttuose e che tutto va per il meglio. Purtroppo i fatti dicono altro.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di Lunedì 3 settembre 2018]