Il fascino infinito delle cose che mai sapremo

di Antonio Errico

Siamo molto lontani dal poter dire di che cosa siamo fatti, com’è iniziato tutto e dove andiamo. Conosciamo solo il cinque per cento dell’universo. Il novantacinque per cento è un punto interrogativo. Pensiamo che abbia avuto origine da una grande esplosione iniziale, il Big Bang, ma non ne conosciamo i dettagli.

Dice così Fabiola Gianotti, la prima donna a dirigere il Cern di Ginevra. Lo dice con grande e serena umiltà.

Resta il punto interrogativo, dunque: gigantesco, probabilmente ineliminabile. Nonostante la sfida ad ogni limite che lancia la scienza. Nonostante la scienza tenda costantemente il pensiero oltre la soglia che raggiunge. Nonostante la meraviglia di quello che scopre coniugando il rigore del metodo con l’azzardo dell’immaginazione, il calcolo con l’intuizione, la sistematicità dell’osservazione con la prefigurazione, scartando costantemente dalla comune grammatica della visione e dell’interpretazione dei fenomeni.

Ma il punto interrogativo è lì che sovrasta. E’ la consapevolezza o forse soltanto la percezione, la sensazione, che esisterà sempre qualcosa di irraggiungibile, di inesprimibile, probabilmente anche di inimmaginabile. E’ un infinito che sfida la finitudine degli uomini. E’ il sospetto (o la prova?) dell’esistenza dell’eterno.

Il punto interrogativo seduce la nostra arroganza, provoca la nostra impazienza, accresce la devozione nei confronti della libera ricerca, fomenta la disobbedienza nei confronti di ogni sapere definito, più che mai verso ogni dogma. Forse ciascuno di noi pensa, più o meno segretamente, quello che pensava e diceva Einstein: voglio capire come Dio ha creato il mondo. Non mi interessa questo o quel fenomeno in particolare: voglio penetrare a fondo il Suo pensiero. Il resto sono solo minuzie. Ciascuno lo pensa a suo modo, con i pochi o molti strumenti che ha, con l’apparato delle sue discipline. Ma ciascuno lo pensa: lo scienziato, il filosofo, il poeta, l’artista, l’uomo della strada. Lo pensa anche senza consapevolezza, come per istinto. Ma lo pensa. Con stupore. Con entusiasmo. Con paura. Con insipienza o con saggezza. La saggezza è nella coscienza del limite e della esigua conoscenza. Sappiamo soltanto il cinque per cento. Tutto il resto appartiene al mistero, di cui ogni giorno si riesce a svelare una parte: soltanto una parte, una minuscola scaglia. In un’altra occasione, Fabiola Gianotti ha detto che si è riusciti a capire che cosa è successo a partire da un centesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, più o meno quattordici miliardi di anni fa. Forse un giorno si riuscirà a capire anche che cosa è successo in quell’istante ( ma non so se è corretto definirlo istante), in quel fiat, in quell’indicibile. Ma dopo averlo compreso, senza dubbio ci sarà altro da comprendere.

Se per una impossibile casualità, un giorno si dovesse comprendere il tempo e lo spazio in modo completo e definitivo, se si dovesse decodificare l’infinito, decrittare il lievito dell’universo, allora, da quel giorno, non ci sarebbe più scienza né religione. Non ci potrebbe essere più filosofia, non ci potrebbe essere più poesia, né altra forma d’arte e di ricerca. Da quel giorno gli uomini si ammalerebbero di una noia assoluta senza alcuna possibilità di guarigione.

Ma poi, forse l’esistenza di ogni uomo è motivata – oppure soltanto giustificata – dalla continua contesa con l’ignoto, dal tentativo di violare i segreti del cielo e della terra, dallo sconfinamento nei percorsi di ricerca della verità, dallo scrutamento dell’infinito, dalla violazione delle frontiere, dall’esplorazione incessante. Ma conoscenza e incertezza crescono nella stessa misura, senza dislivelli. Quanto più si procede nei territori del sapere, tanto più si rafforza la consapevolezza delle cose che non si sanno; quanto più si acquisiscono certezze, tanto più si ingigantiscono le domande, si addensano i dubbi e le incertezze.

Ogni volta che si comprende qualcosa, si aggiunge una prova ulteriore dei limiti della comprensione. Il punto interrogativo si ingrossa. Diventa incombente. Alle volte ingombrante. Il novantacinque per cento sembra spandersi, dilagare. Ma ci attrae. Forse le poche cose che conosciamo non hanno nessun fascino. Ci affascina l’ignoto, la profondità, la lontananza, l’insondabile, l’irraggiungibile, l’illimitato, l’inesplorato, l’inesplorabile.

Forse l’indagine continua che facciamo dell’universo, le nostre navicelle che solcano lo spazio, hanno come radice di significato proprio questo fascino.

Allora ci chiediamo quando e come è stato il principio, quando e come sarà la fine, se ci sarà una fine, o se tutto continuerà a trasformarsi istante per istante, per l’eterno.

Innumerevoli le domande; le risposte sempre pochissime, sempre imperfette, sempre minacciate dall’errore. Abbiamo navigazioni continue e pochi, smottanti approdi. Ce ne stiamo, in fondo sempre esuli, sempre migranti, su “un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po’ più di caldo, ora un po’ più di freddo, e per farci morire – spesso con la coscienza d’aver commesso una sequela di piccole sciocchezze – dopo cinquanta o sessanta giri”. Così dice Pirandello ne “Il fu Mattia Pascal”. Dice che ci siamo ormai adattati “alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo”.

Forse questo adattamento si chiama sapienza. Si chiama sapienza anche la consapevolezza delle precarietà di tutte le cose e di tutte le creature. Ma si chiama sapienza soprattutto la coscienza del poco o quasi niente che sappiamo dell’universo. Al cinque per cento di conoscenza si è arrivati in tutta la storia dell’umanità. Per arrivare al dieci avremo bisogno più o meno dello stesso tempo. Certo, il progresso, lo sviluppo, la tecnologia, ci consentiranno di procedere più rapidamente, di alzare il livello delle conoscenze, di migliorare i processi di ricerca. Probabilmente riusciremo ad arrivare anche al venti per cento. Ma resterà sempre tutto il resto. Sarà sempre tutto il resto ad affascinarci con il suo mistero.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 26 agosto 2018]

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