La cosa pubblica è una cosa bellissima!

di Ferdinando Boero

Quando iniziarono le privatizzazioni delle imprese pubbliche feci una domanda a chi “se ne intende”: se un privato compra una cosa pubblica allora pensa di guadagnarci, no? Perché, invece, non ci guadagna il pubblico? La risposta era: le cose pubbliche sono gestite male, le assunzioni sono clientelari, sono dei carrozzoni. La mia replica era: ma se il privato le compra significa che pensa che sia possibile risanarle e farle funzionare, perché allora non lo fa il pubblico? La risposta era: eh, ma bisogna licenziare un sacco di gente e il pubblico mica può farlo, ci sono leggi che lo impediscono! Ah, rispondevo io, e allora cambiamole no? Anche perché i licenziati, poi, sono di solito sostenuti dallo stato, con soldi pubblici. Come minimo sono mandati in pensione (e poi crolla il sistema pensionistico). Mi dicevano che la facevo troppo semplice. Non sei preparato su questo, mi dicevano. In effetti non lo ero. Però lavoro in un’Università pubblica e cerco di gestire il mio laboratorio come se fosse un’impresa privata: assumo solo gente molto qualificata, non ci sono raccomandazioni. Facciamo progetti, di solito europei, e con quei soldi finanziamo le nostre ricerche, paghiamo persone. Certo, il mio stipendio sarebbe identico se mi limitassi a fare lezione e non facessi altro. In altri paesi lo stipendio è legato ai risultati ottenuti e i dipendenti pubblici sono chiamati “civil servants” e sono orgogliosi di esserlo. Lo sono anche io, e penso che le cose pubbliche debbano funzionare meglio di quelle private e i guadagni debbano andare al pubblico, ed essere reinvestiti in modo che la “macchina” pubblica sia sempre più efficiente e che il servizio offerto migliori sempre. Un’Università deve produrre conoscenza e la deve trasmettere alle nuove generazioni: è un’impresa che si valuta non solo con i guadagni monetari ma anche in termini di servizi offerti. E un’Autostrada? Le autostrade sono state fatte con soldi pubblici, poi la gestione ha sofferto dei mali che ho descritto, e si è deciso di affidarle ai privati. Questi guadagnano dalle tariffe, una parte delle quali dovrebbe essere investita in manutenzione, adeguamento, sicurezza, efficienza. Un’altra parte va nelle tasche dei gestori privati. Il guadagno, nel pubblico, dovrebbe essere del pubblico, in termini di economicità delle tariffe e dell’efficienza dei servizi. Il privato tende a massimizzare i guadagni, non lavora per il bene pubblico ma per il proprio bene. Poi vengono giù i ponti. Ora cerchiamo le responsabilità e di sicuro ce ne saranno di dirette, primarie. Ma ci sono anche responsabilità ultime, che hanno visto la dismissione del patrimonio pubblico a seguito di cattiva gestione, con il trasferimento dei guadagni al privato. I politici che hanno privatizzato gli asset strategici del paese sono gli stessi che hanno fatto funzionare male la cosa pubblica. Magari hanno cointeressi con i privati a cui hanno regalato il patrimonio strategico del paese. Lo hanno fatto con le banche, l’acciaio, le ferrovie, le poste, le autostrade, la sanità, un elenco infinito. Padoa Schioppa fu preso in giro quando disse che le tasse sono una cosa bellissima. Ecco: la cosa pubblica è una cosa bellissima! E se non funziona non è per difetti strutturali del pubblico, ma per la gestione di disonesti incompetenti. La soluzione non è privatizzare, ma affidare il pubblico a onesti competenti e mettere in condizione di non nuocere i disonesti incompetenti. Perché altrimenti crolla il paese, non solo un ponte.

[“Il Secolo XIX” di venerdì 17 agosto 2018]

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