di Gigi Montonato
A Casarano c’è uno dei monumenti più affascinanti e suggestivi di queste nostre contrade. E’ la Chiesa di S. Maria della Croce, nota come Casaranello. Con questo nome si indicava la Casarano piccola per distinguerla dalla Casarano grande, quando fra i due nuclei abitativi vi era “distanza” di luogo e di consistenza demografica. Oggi Casarano è una sola e ingloba nel suo tessuto urbano quella “remota” parte di sé. La chiesa è quanto resta di quel piccolo centro, le cui origini, come per tanti altri del Salento, sconfinano nelle vicende dei tempi e nelle suggestioni degli uomini.
Casaranello è un nome che racchiude in sé storia, culto, arte e ricerca continua da parte di studiosi locali, nazionali e stranieri, impegnati da oltre un secolo a definirne tutti gli aspetti annessi e connessi. Croce e delizia, dunque. Croce perché la sua origine, la sua struttura architettonica, i suoi mosaici parietali e i suoi affreschi bizantini hanno sfidato e continuano a sfidare le competenze e le doti critiche degli studiosi; delizia perché le opere d’arte in essa contenute, in specifico i suoi mosaici parietali, sono di una bellezza straordinaria e raccontano lontanissime scaturigini spirituali, che l’avvicinano al Mausoleo ravennate di Galla Placidia (V secolo).
Ravenna era capitale dell’Impero e si può capire tanta bellezza e tanto sfarzo. Ma Casaranello? Chi, quando, come e perché fu eretto questo tempio cristiano? E’ intorno a queste domande che ruota da sempre l’interesse conoscitivo degli studiosi.
Nel suo ponderoso volume S. Maria della Croce (Casaranello). Oltre un secolo di studi su un monumento paleocristiano del Salento (Lecce, Grifo, 2018, pp. 706), n. 13 della collana fondata e diretta da Luigi Marrella “Quaderni di Kèfalas e Acindino”, Leo Stefàno non dà risposte “sue” agli interrogativi, più che di Casaranello si occupa dei casaranellisti. Con un lavoro di ricerca di primissimo livello scientifico mette a confronto e in dinamica argomentativa tutte le interpretazioni che sono state date nel corso del tempo, dal mito di Bonifacio IX Tomacelli, fatto passare da Antonio Sanfelice, vescovo di Nardò dal 1707 al 1736, come nato e battezzato a Casaranello, alle tante letture della struttura architettonica, dei mosaici parietali, degli affreschi bizantini, dei graffiti greci, che hanno insieme chiarito e creato ulteriori dubbi.
Stefàno non si lascia convincere da questa o da quella lettura, pur riconoscendone, volta per volta, il valore e i limiti, quando di esse riconosce l’assoluta fondatezza scientifica, né vuole convincere altri. Lo esplicita nell’Introduzione: “la chiesa di Casaranello, a dispetto di quanto comunemente si ritiene, continua a porre molti interrogativi: innanzitutto sulla sua identità originaria, sulla committenza che ne dispose l’edificazione, sulle maestranze che vi operarono, sul significato della preziosa decorazione musiva; ma poi anche sulle successive modificazioni architettoniche e decorative, intervenute per lo stratificarsi nel corso del tempo di nuovi assetti in campo politico e religioso, dovuti alle dominazioni bizantina, normanno-sveva, angioina, ecc.” (p. 9).
La letteratura della storiografia di questo monumento ha una data spartiacque, che è la visita dello storico dell’arte berlinese Arthur Haseloff nel 1906. Haseloff è uno storico dell’arte tedesco, viene nell’Italia meridionale per volontà dell’Imperatore Guglielmo II di Germania, il suo sovrano, per cercare tracce e monumenti normanni e svevi. Lo storico è subito attratto anche dalle architetture paleocristiane e bizantine, di cui son piene le Puglie. In particolare è uno scritto di Cosimo De Giorgi su Casaranello che lo incuriosisce e lo attrae.
E’ una scoperta, perché fino a quel momento si pensava che la chiesa fosse riconducibile al XV secolo. Per Haseloff i mosaici parietali la riportano indiscutibilmente al V secolo, data la somiglianza con quelli del Mausoleo di Galla Placidia di Ravenna. E va oltre. Originariamente il monumento era una cappella cruciforme e nei successivi secoli medievali avrebbe subito l’aggiunta delle tre navate che la trasformavano in una normale chiesa a croce latina.
Da quella scoperta all’ultima lettura, che è dello storico dell’arte Giorgio Spinosa (S. Maria della Croce di Casaranello: analisi delle strutture architettoniche, “Arte Medievale”, Silvana Editoriale, 2002), passa circa un secolo. Spinosa, che per la ricostruzione storica si avvale degli studi di André Jacob, il quale legge un’epigrafe che parla della consacrazione della chiesa intorno all’anno Mille, parte dalle osservazioni contenute nella relazione dell’architetto Corrado Bucci Morichi, che aveva diretto i restauri del 1983, e, disponendo di ben altra tecnologia, che consente una più approfondita rivisitazione, giunge a conclusione che tra i materiali della supposta originaria chiesa cruciforme e la supposta successiva aggiunta delle navate non vi è alcuna differenza e che alcuni segni tecnici e stilistici degli archi della successiva riproducono gli stessi dell’originaria. Dunque cadrebbe la tesi dell’Haseloff dei due tempi di costruzione, potendo “ipotizzare la contemporaneità di realizzazione di tutti gli archi […] che presupporrebbe un impianto sostanzialmente simile all’attuale” (Bucci Morichi).
Gli studi su Casaranello sono pertanto ben lungi dal trovare conclusione. Dal Tasselli ai giorni nostri, passando – per citarne solo alcuni – da Arthur Haseloff, Wladimir De Grüneisen, Adriano Prandi, André Jacob, Marina Falla Castelfranchi, Gino Pisanò, Giorgio Otranto e Paul Arthur, sono centinaia gli studiosi, italiani e stranieri, che hanno dato contributi tematici variamente valutabili, da quelli altamente scientifici ad altri limitati a ipotesi non sempre sufficientemente fondate, ognuno con una specificità di interesse: storici e critici dell’arte, architetti, archeologi, letterati, mosaicisti, epigrafisti.
Resta di questo tempio il fascino della sua origine, del suo essere stato cappella funebre di qualche ricca ed importante famiglia del luogo; del suo essere divenuto parrocchia rurale, così importante da divenire riferimento delle comunità vicine; della sua strumentalizzazione di chiesa in cui fu battezzato un papa, Bonifacio IX, ritenuto fantasiosamente o lucrativamente nativo del luogo; del suo essere – se vale la metafora – un fiore di campo in una landa desolata, come poteva apparire la contrada di Casaranello millecinquecento anni fa.
Il libro di Leo Stefàno è, da par suo, per mole, sapienza di costruzione e qualità di “materiali”, un monumento al monumento. Visitarlo, oltre che un piacere, è un obbligo; soprattutto per chi ha interesse a conoscerlo per sé e ad approfondirne la conoscenza per gli altri.
[“Presenca taurisanese”, a. XXXVI n. 7/8 di luglio-agosto 2018, p. 10]