La solitudine del letterato

di Gianluca Virgilio

Nella recensione di una raccolta di racconti il compito del critico è di individuarne il leitmotiv, saggiando qua e là i testi che la compongono. È la fase osservativa, nella quale conviene sospendere il giudizio, cui segue quella interpretativa, nella quale si cerca di dedurre un senso da quanto si è letto. Così mi sono accostato ai racconti di Luigi Scorrano raccolti in Con un piede nel nulla, con sottotitolo e altre narrazioni, Edizioni Grifo, Lecce 2017,  e tra gli appunti, già dopo una prima lettura, ecco risultare il motivo dominante: la solitudine della senilità. In molti racconti, infatti, Scorrano nette in scena  questa condizione umana, incarnandola in personaggi che sembrano corteggiare la morte; e la corteggiano a tal punto che la fine del racconto segna spesso la morte del protagonista; a cominciare dal racconto eponimo Con un piede nel nulla, nel quale il protagonista, sperimentato il nulla durante l’anestesia di un intervento chirurgico, incapace di sopportare il peso della solitudine, non desidera altro che rientrare nel nulla: “Rientrare in quel nulla perfetto, in quell’assenza dove tutto è possibile. Ma questa volta non per ritornare ad affannarsi ricercando un senso a quel vuoto. Sapendo che quel vuoto è quel che attende: certo, la sua pace. Ecco: sapendo.” (p. 19). Di qui il suicidio finale.  Ne I rimasti siamo in un ospizio nel giorno di Natale, ambientazione molto cara a Scorrano, come si evince dai racconti contenuti ne L’uomo che guarda le stelle e altri racconti di Natale, del 2010 e del 2013; in primo piano è la solitudine dei vecchi, e la conclusione coincide con la morte di uno di loro. Ma si veda anche l’esito de L’importuno e di Notturna voce. Si tratta sempre di personaggi anziani, soli, abbandonati, privi d’ogni conforto, che vanno verso la morte come verso la suprema liberazione. Sfugge a questa conclusione, ma non al leitmotiv della solitudine dell’anziano, il racconto Il serpente, in cui la vita coniugale mostra il suo lato oscuro, opprimente, psicologicamente devastante.

Ma non ci sono solo anziani in questa raccolta. Ne Il sogno di un aquilone c’è un ragazzo solitario che gioca e fantastica col suo aquilone fino a diventarne la vittima: “… il ragazzo … rapito e innalzato sull’azzurro altare del cielo, come offerta a un’antica divinità.” (p. 44); c’è un giovane Tomaso che nella sua solitudine sperimenta l’incontro col divino: “Vedeva un uomo spuntare sull’orizzonte marino e venire verso la riva camminando sulle acque come se si muovesse su un terreno solido; “ (p. 74); e infine, ci sono dei giovani in un racconto del 1959 posto in Appendice, L’antica luna è sola, nel quale l’incapacità di comunicare sfocia nel dramma della gelosia che a sua volta porta all’assassinio di una giovane donna e alla lotta all’ultimo sangue tra i due amici. Non solo anziani, dunque, in questa raccolta, ma anche ragazzi e giovani, accomunati dalla condizione esistenziale della solitudine. Quella senile non è che la forma più acuta della solitudine quale l’uomo può sperimentare in ogni età della vita. E dal momento che, come dice Scorrano nell’incipitario Sogno di parole, le parole servono per la loro “capacità di narrarci, di narrare quello che siamo …” (p. 7), una capacità di cui l’autore lamenta la perdita nel panorama delle lettere contemporanee, ecco che a me pare di poter leggere nel leitmotiv della solitudine esistenziale la condizione del letterato del Sud, in particolare dei nostri paesi, nei quali, sopraffatti come siamo dalla comunicazione massmediatica e dal chiacchiericcio localistico, è diventato difficilissimo narrare, cioè raccontare semplicemente una storia che ci riguarda.

Luigi Scorrano in questi suoi racconti ha messo a nudo il suo cuore, rappresentando se stesso per interposta persona, cioè usando la terza persona, io credo per una forma di pudore che ama nascondersi, oltre che per mantenere un certo distacco da una materia autobiografica. Ma tu avverti sempre il suo animo a volte amareggiato, a volte deluso, il suo disincanto; e poi avverti anche un moto di ribellione a questa condizione esistenziale, che si fa satira civile condotta con finezza ed arguzia, per esempio nel racconto Una carezza per l’asinello, nel quale lo scrittore riferisce i pensieri del bue e dell’asinello di un presepe volti a fustigare il malcostume dei governanti; o anche In quel paese, dove sono presi di mira i Tillini, cioè gli abitanti del paese di T. , tipico paese del Sud descritto nei vizi privati e nella pubbliche virtù con vivo senso di ironia; o ancora in Fortuna, dove Scorrano per bocca di uno strano personaggio guarda con spirito faceto alla prosaica vita coniugale d’uno scrittore attempato e della sua casalinga consorte.

È l’ironia, verrebbe da dire, che salva dalle carezze della solitudine e della morte! Così Luigi Scorrano dà il meglio di sé proprio nei casi in cui non corteggia la morte e non se ne fa corteggiare, ma volando alto sulla vicende umane, guarda con distacco alla vita (Ariosto docet!), che purtroppo è “lieta e feroce, come sempre” (p. 9).

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