Nei libri la memoria e il futuro della civiltà

di Antonio Errico

Si legge sempre di meno, dicono le statistiche.

Ogni anno, ogni giorno di meno.

Così, giorno dopo giorno, si fa sempre più piccola la finestra dalla quale guardiamo il mondo e le creature che lo abitano e le cose che esso contiene. Si riduce la nostra visione, la nostra possibilità e capacità di interpretazione, di comparazione, di analisi, di sintesi, di organizzazione logica dei concetti e di tessitura dei significati, si riducono le occasioni di scoperta.

Le ragioni per cui accade questo sono molte: alcune consapevoli, altre forse anche inconsce, e fra queste ultime non è da escluderne una che potrebbe essere anche la più banale di tutte. Pigrizia, si chiama.

Forse si legge sempre di meno perché si diventa sempre più pigri. Leggere richiede uno sforzo cognitivo, qualche volta anche fisico. Bisogna mettere insieme significati, cercare nel significato le sfumature dei sensi, mettere in relazione i sensi con la realtà e l’immaginario, con il presente e con il passato, proiettare una condizione nel futuro, formulare ipotesi, confrontarsi con le incertezze, i dubbi, le domande. Costa fatica. Poi bisogna avere pazienza e umiltà. Tornare indietro, rileggere, approfondire, cercare riscontri, verificare. Un clic risulta molto più facile, indubbiamente. Ma un clic apre solo un pertugio. Un libro disegna orizzonti. Richiama memorie e provoca immaginazioni, attiva prefigurazioni.

Forse una delle conseguenze meno apparenti e più gravi che la progressiva diminuzione della lettura sta determinando, è proprio l’impoverimento e lo sfilacciamento della memoria e dell’immaginazione.

Però noi sappiamo che le civiltà si fondano su queste due condizioni, sulla possibilità di far riferimento all’accaduto e sulla capacità di prefigurare l’accadere. Per l’una e per l’altra occorre potersi servire di strumenti affidabili, che siano in grado di consentire un’analisi attendibile del passato ed una elaborazione di situazioni possibili fondata sulla coerenza e sulla coesione degli elementi provenienti dal passato e dal presente.

Non saprei dire quali possano essere gli strumenti che, oltre ai libri, consentano possibilità di questo genere, che abbiano quella pluralità di pensieri che hanno i libri, che diano la stessa pluralità di pensiero.

Potrebbe sembrare esagerato, forse, pensare che la nostra pigrizia stia compromettendo la possibilità di immaginare le situazione in cui ci troveremo o potremmo ritrovarci appena domani o domani l’altro. Potrebbe sembrare esagerato, forse, ma potrebbe anche essere abbastanza probabile.

Indagare la memoria per comprendere qual è l’origine che ci appartiene, non vuol dire guardare indietro; vuol dire guardare in fondo. Immaginare il futuro vuol dire vedere oltre, scrutare la realtà che si va configurando per le nostre esistenze e per quelle che verranno.

Senza i libri non si può guardare in fondo, non si può guardare oltre.

Senza i libri si può soltanto soffermarsi ad osservare il presente senza comprendere da dove deriva, in che modo svilupperà.

Così questa civiltà si destina, per pigrizia, all’incomprensione della propria storia e all’immobilità, oppure al continuo rimaneggiamento del presente. Anche questa, forse, è un’esagerazione. Ma si sa che, talvolta, le esagerazioni si trasformano in realtà.

Senza i libri si può guardare soltanto il tratto di sentiero che si sta percorrendo, non quello che si è percorso, né quello che si percorrerà. E’ una limitazione inevitabile e oggettiva.

Molte circostanze sono dovute al caso, certamente, ma tra queste non ci sono le civiltà, che sono immaginate e costruite esclusivamente dalla cultura dell’uomo. Per cui si ha necessità di strumenti di cultura.

Quando saranno inventati strumenti con lo stesso potenziale di cultura sistematica e organizzata che hanno i libri, allora si potrà servirsene. Ma fino a questo momento, l’invenzione non c’è stata. Non solo. Fino a questo momento, ogni altro strumento al quale si possa pensare, rappresenta una derivazione ed una proiezione dei libri.

Forse è arrivato un tempo in cui diventa necessario pensare ai libri svincolandoli da qualsiasi suggestione di atmosfera romantica e vagheggiante.

Bisogna pensarli molto semplicemente come strumenti funzionali alla costruzione di una civiltà, al suo sviluppo, al suo progresso, alla qualità dei suoi requisiti. A dimostrazione, si potrebbe fare il ragionamento contrario e sostenere che quando qualcuno ha pensato di distruggere una civiltà, di accecarla, per prima cosa ha distrutto i libri che la rappresentavano.

Noi non stiamo facendo questo. Non stiamo bruciando i libri. Li stiamo progressivamente abbandonando, e quindi stiamo progressivamente abbandonando una civiltà. Se non la stiamo accecando, ne stiamo comunque riducendo la capacità di visione.

Però, forse siamo ancora in tempo a rimediare. Forse possiamo ancora recuperare il senso della memoria e della prospettiva di cui soltanto i libri sono – ancora – i custodi.

Qualche anno fa, Jostein Gaarder, l’autore del “Mondo di Sofia”, scrisse in un articolo che non tutte le culture hanno bisogno dei libri nella stessa misura. Molte culture hanno potuto farne a meno, soprattutto quelle che si fondavano su una trasmissione orale delle conoscenze e delle esperienze. Ma il mondo moderno e postmoderno ha sostituito la cultura orale con quella scritta, per cui diventa indispensabile riuscire ad individuare quali sono le forme di scrittura che in modo più credibile trasmettono e rielaborano le conoscenze, le esperienze, le storie. Finora non si è potuto fare altro che realizzare forme che derivano dai libri combinandole con le immagini. Forse un giorno potrebbe accadere che si inventino modalità e strumenti completamente nuovi che adesso non si riesce neppure ad immaginare. Quello che si riesce a immaginare è ancora scritto tutto dentro i libri. Per la memoria della loro immaginazione gli uomini hanno ancora bisogno dei libri; ne ha bisogno la scienza e la fantascienza e la letteratura.

La storia di una civiltà è una biblioteca. Anche il futuro di una civiltà è una biblioteca. Se non si vuole lasciarsi sfuggire la storia, se non si vuole che il futuro non sia altro che un paesaggio isolato nella nebbia, è indispensabile che di tanto in tanto lo si guardi dalle grandi vetrate di un libro.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 24 giugno 2018]

 

 

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