di Paolo Vincenti
“Stanca, rassegnata, innocente, invasata
Nuda, svergognata, tradita, condannata
Ma è la mia città
Sporca, avvelenata, incivile, incendiata
Sempre affollata, devota, ammutinata
Ma è la mia città”
(Edoardo Bennato – “La mia città”)
A Napoli, tre ragazzi, definiti dal Questore “un branco di lupi”, hanno aggredito ed ucciso un vigilante, Francesco Della Corte, “colpevole” soltanto di svolgere il proprio lavoro. I tre minorenni, presso la stazione metropolitana di Piscinola, hanno confessato l’omicidio senza mostrare nessun segno di pentimento. Volevano rubargli la pistola d’ordinanza per rivenderla al mercato nero e di fronte alle resistenze del vigilante lo hanno trucidato con un bastone, infierendo anche sul cadavere. Il problema delle baby gang a Napoli è diventato urgente quasi quanto quello della Camorra, anche perché i piccoli criminali usano gli stessi metodi dell’organizzazione malavitosa. Il Ministro dell’Interno Minniti ha risposto incrementando il numero delle forze dell’ordine, istituendo 10 distretti di polizia nelle zone maggiormente a rischio, – Pomigliano D’Arco, Casalnuovo di Napoli, Volla, Casoria, Scampia, ecc. -, e con un programma di “tolleranza zero” nei confronti delle squadre di baby criminali, come quelli che in dicembre hanno sfregiato lo studente Arturo, nella centralissima Via Foria. Napoli è ogni giorno agli onori delle cronache per fatti negativi, casi di nera, di morti violente, droga, corruzione, contrabbando. È sempre stato così. Ma l’iper informazione oggi penalizza maggiormente la città, che da questa sovraesposizione mediatica trae solo cattiva pubblicità nel mondo. I tanti casi di delinquenza minorile, la dispersione scolastica, il racket del pizzo che soffoca la libera impresa, gli episodi di malasanità, lo scempio urbanistico, la lentocrazia degli uffici pubblici, l’assenza dello Stato, specie in certi rioni, tutto ciò ha finito per far passare in secondo piano “l’oro di Napoli”, per dirla con Marotta, per oscurare quello che di buono c’è in questa grande e splendida città. Una città che è un microcosmo, coacervo di spinte centrifughe e centripete, mix di impareggiabile bellezza artistica e paesaggistica ed incorreggibile degrado, cuore grande, generosità e ospitalità, e sconforto dell’abbandono e dell’incuria, amore e odio, ragione e sentimento. “Il Continente Sud, il più antico Deep South del mondo”, scriveva Aldo Bello negli anni Settanta, “concentrato nel ventre di una metropoli che può esplodere da un momento all’altro, con la sua fame che è un dato permanente della storia, con la rabbia inespressa, con la miseria elevata a sistema, con la tecnica aberrante dell’assistenza pubblica e privata che nega ogni diritto al cittadino, con le cosche politiche pronte a muovere le masse secondo il proprio tornaconto”. E ha voglia il Sindaco De Magistris a gridare che oggi le cose si sono invertite. Purtroppo “Il Mattino” (nel senso del quotidiano, fondato nel 1892 da Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, il più antico e prestigioso del Meridione, oggi diretto dal leccese Alessandro Barbano) non porta “l’oro in bocca”, secondo il noto detto popolare, ma notizia la città dell’ennesimo scannamento, dell’ultima bomba esplosa, del millesimo atto intimidatorio da parte della camorra, di arresti eccellenti fra notabili e faccendieri, della milionesima retata della Guardia di Finanza o dei Carabinieri. Ancor peggio: apri e leggi di un ventenne arrestato a Scampia per spaccio di eroina e crac, oppure di una diciottenne a Procida arrestata per spaccio di hashish. La situazione è inquietante; dal Rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa, Lucio D’Alessandro, viene addebitata alla rabbia sociale e alla deprivazione della speranza che vivono le periferie urbane del Napoletano, vuote di stimoli, di segnali di sviluppo, di occasioni di aggregazione (“Avvenire”, 17 gennaio 2018). Luci ed ombre: è la dicotomia che ha sempre caratterizzato la metropoli partenopea, dicotomia oggi più che mai emblematica di un presente selvaggio, svangato, in cui le ombre hanno preso il sopravvento e lo skyline della città è oscurato da una fosca nuvolaglia che si addensa minacciosa, incombente. Forse quello che presenta Napoli come città di contrasti non è soltanto uno stereotipo, è cosa vera. Cioè, il male è talmente consustanziale alla città che sembrerebbe che essa non possa farne a meno, per ritrovarsi buona, forte, solidale. Forse cioè, v’è bisogno della Camorra, del sangue sulle strade, delle faide e delle connivenze, insomma del cuore nero della città, perché si possa sentire battere anche l’altro cuore. “ Dateci una guerra”, sembra voler dire la parte buona della città, usando le parole di Carlo Bernari, “dateci una rivoluzione, un’eruzione, un colera, e vi si fa vedere se siamo o non siamo un popolo unito, che dico popolo, una famiglia, una ciurma ammutinata… ma ci occorre un pericolo contro cui batterci”.