Satura 3

di Paolo Vincenti

Decadenza

“I funzionari dello stato italiano

Si fanno prendere spesso la mano

Inizian bene e finiscono male

Capita spesso che li trovi a rubare

E fanno cose che stan bene solo a loro

A usufruire di vantaggi esagerati

Così abbandonano ogni tipo di decoro

E si comportano come degli impuniti

Questa è la cumbia

La cumbia di chi cambia

La cumbia di chi cambia”

( “La cumbia di chi cambia” – Jovanotti- Adriano Celentano )

“In questa decadenza
Le persone non hanno chance
C’est la décadence
C’est la décadence”

(“La decadenza” – Ivano Fossati)

L’osceno del villaggio è a piede libero. Si aggira fra di noi, è il concentrato dei vizi e delle dissolutezze degli italiani, è il fenomeno da baraccone nel gran Circo Barnum della nostra nazione. È una maschera tragica e comica di quest’italietta lunga lunga e stretta stretta, è il mostro che aspetta al varco della nostra addomesticata e borghese serenità. L’osceno è lo “scemo più scemo” del villaggio globale degli anni Duemila. Per Nonciclopedia (contraltare online satirico ed irriverente della più nota Wikipedia), “Lo scemo del villaggio è un individuo che rallegra la vita dei concittadini urlando e urinando per strada. Vive nelle piazze e dorme sulle panchine, ma a differenza del barbone non chiede soldi, ha una casa che non occupa mai e le gote di un acceso colore rossastro. Potrebbe sembrare che sia perennemente ubriaco, infatti è così.”

 

Qui Italia

“Ogni giorno la vita è una grande corrita”  / e la notte, sulle terrazze del centro è di scena la malavita,/ … / e con la benzina alle stelle  e guasto il motore, / il mattino diventa nero, se la macchina non può partire… / “tu ti guardi allo specchio e ti sputi in un ecchio”/  e decidi di tornare a dormire e “buonanotte al secchio!”/ ma intanto striscia, striscia, striscia la notizia e non si può più fermare: / corre voce che “è asciuto pazzo o padrone!”/ striscia, striscia e serpeggia negli ambienti di potere, / la situazione è grave e fa allarmare… / … / e fra una stangata che va e una stangata che viene, / ci divertiamo con le discrasie di questa nostra nazione /  Come canta Renzo Arbore, in un Paese ormai allo sbando, / “tu comandi fino a quando hai stretto in mano  il tuo telecomando”, / e davanti a quel totem domestico, fra  “Porta a Porta” e “Annozero”,  /non distingui più l’opinione dai fatti, il falso dal vero… /e “al contadino non far sapere /quanto è buono il formaggio con le pere” / che, in questo contesto, non c’entra un “casso”, / ma mi piaceva la rima e ce lo ho messo. / …  /  fra  “L’isola dei famosi” e  “La Fattoria”, è una situazione paradossale, / che nessuno si sforza più di capire,  / è solo un prendi e scappa, “la trippa la trippa!”, / “vota Antonio!”, ma poi il meccanismo si inceppa / e allora, sono dolori per la corte e per l’Imperatore, / quando è tempo di consegnare il potere, / e allora è triste, per il leader con i consensi in caduta verticale, / e tutti pronti a saltare sul carro del vincitore / “morto un papa se ne fa un altro”, / e che ce ne fotte a noi, in questo paese così scaltro.  /  E’ facile aver voglia di fuggire / giù dal Congo campano-lucano, è forte la tentazione,/ o ancora più a sud, dal Kenya calabro-pugliese, aumenta l’emigrazione, / è facile aver voglia di fuggire/ e si lavora molto di fantasia / quando proprio non si riesce ad andar via. / W Milano! Metropoli del calcio e delle televisioni/ W Milano! Metropoli della finanza e degli affari / Milano- Tangentopoli / Milano-Italia,  Milano Vallettopoli:  w la grande metropoli! /

“Poi comincia il lavoro e dimentichi il cuoro” / e sei solo un’altra voce  nel coro / “ti distrugge lo stress e dimentichi il sess”,  / la voce dell’indecenza è solo “spetteguless”,  / e non c’è niente che ti tenga su, / quando la voce dell’inclemenza non arriva più/…   /  E fra una stangata che va e una stangata che viene,  / la maga pronostica sciagure per la nazione. / E se federalismo non vuol proprio dire fare quel che vuoi, /  io mi tengo stretti le mie mogli ed i miei buoi /e  fra gli “Amici” di Maria e “Uomini e donne”,  è una situazione surreale, / che nessuno cerca più di spiegare/  ma intanto striscia, striscia la notizia e non si può fermare, / la situazione è grave e fa allarmare / un fil di voce diventa un boato / e il caos esplode incontrollato/ corre voce che il Capo sia ormai “andato” , / e fra i quadri dirigenti, il panico è subentrato /  corre voce che il Capo sia molto malato, / e fra peones e franchi tiratori, c’è aria di sbraco. /   Comincia un fuggi- fuggi, fra colombe e falchi / e di colpo si svuotano i banchi, / chi prende il primo aereo, chi inizia a puntualizzare: / “io c’ero ma solo per dovere”,  / e fra sottili distinguo e smaccate prese di distanza,  / gli animali iniziano una macabra danza / sul corpo del leone, per potersi spartire / quello che resta del suo potere /  E’ facile aver voglia di andare lontano,/ da questo Sud sempre più “pizza spaghetti e mandolino”. / W Milano! Metropoli del calcio e della moda / W Milano! Metropoli della grande sfida/ Milano-Tangentopoli / Milano-Italia Milano Sanitopoli: w la grande metropoli! /  Radio Padania ci ricorda come siamo messi male / e che il Sud è come un grande bubbone, /  ma in questo Paese che è ormai ridotto ad un cesso, /  noi rispondiamo con quel gesto che è sempre lo stesso /…”

 

In questo brano, scritto diversi anni fa, cercavo di fotografare, a mio modo, le debolezze e le manie italiane, i luoghi comuni, i tic. In particolare, riflettevo sulla caduta di consensi che iniziava a verificarsi nei confronti del partito di Forza Italia-Pdl e del suo leader Silvio Berlusconi e sul fuggi fuggi dei vari deputati e senatori, proprio come i topi che lasciano la stiva quando hanno sentore di naufragio per fare poi una fine ancora più veloce. Quella di abbandonare la nave quando sta per affondare è una oscena abitudine tutta italiana (Comandante Schettino docet) e allo stesso modo è una oscena propensione, specie della gattopardesca classe politica, quella di saltare sul carro dei vincitori, come si usa dire, anche quando questo carro ( carretto, carroccio) è in corsa, anche col rischio di sfracellarsi a seguito di rovinosa caduta. Molto italiano il vezzo di cambiar casacca, di voltare la gabbana all’occorrenza, di stare insomma dalla parte della ragione, che sta poi sempre dalla parte del più forte.

Purtroppo, il divario di cui parlavo nel brano, fra Nord e Sud del Paese, oggi è stato colmato in negativo  da una crisi economica e finanziaria che rischia di spazzar via tutto quanto.

Ma certe turpi abitudini tutte italiote restano, e sono il portato di quella filosofia popolare del “tirare a campare”, che tanti danni ha procurato in questo Paese, che affoga nell’invidia e nell’ipocrisia. Osceno è chi predica bene e razzola male.  Un esempio calzante di questa incongruenza  logica ed etica fra un comportamento e quello precedente, oppure fra quello che si dice e quello che si fa, è  Mario Capanna.  Ormai un cult, il battibecco televisivo fra “Pancho” Capanna, che rivendica la legittimità del suo vitalizio sulla base dei cosiddetti “diritti acquisiti”, e il “Cicciobello” Massimo Gilletti che si erge a difensore dei più deboli e degli oppressi, nella trasmissione domenicale “L’Arena”. Ma la storia è piena di esempi eclatanti, di personaggi famosi, papi, politici, attori, regnanti, musicisti, con una doppia morale, pubblica e privata. Certo, osceno è chi predica bene e razzola male, ma ancor più chi predica e razzola male. Osceno, il prete che va a puttane o a trans, che fa uso di droga, ancor di più se spinge i ragazzini dell’oratorio  a fare lo stesso. In quest’ultimo caso, direi che se il prete razzola male ma predica bene è meglio. Cioè, si tratta di scegliere il male minore. Certo, il “don” potrebbe smettere di essere un rotto in culo e divenire conseguente con quello che va predicando. Ma quando si tratta della chiesa, è  proprio il caso di dire, come recitano alcuni cartelli satirici, che “per i miracoli ci stiamo attrezzando”. Osceni sono i cattivi maestri, i profeti di morte, i mammasantissima delle organizzazioni mafiose, gli ideologi criminali, ecc..  Osceno è Silvio Berlusconi, un uomo che non accetta l’evidenza dei fatti e continua a vivere in un mondo ideale, quello che ha tentato di costruire nell’immaginario collettivo per tanti anni, senza riuscirci. Venditore di sogni. Sembra un disco rotto, un nastro riavvolto, un déjà vu. Come nel lontano 1994, ancora ho sentito l’altra sera il “cavaliere mascarato” parlare di unrassemblement dei moderati di centrodestra e di “rivoluzione liberale”.  Quante voltePiero Gobetti si sarà rivoltato nella tomba?

L’osceno del villaggio è il re del trash, il “catafratto” Andrea Diprè, un cretino molto seguito sulla rete. Si ritiene un talent scout perché lancia degli improbabili personaggi che non sanno fare nulla come lui. È il fondatore di una vera e propria religione, il dipreismo. Ultimamente è al centro dell’attenzione mediatica per il suo vero o presunto fidanzamento con la pornostar Sara Tommasi. Il suo successo è iniziato da Youtube, dove pubblica una serie di interviste a personaggi famosi che spesso fanno notizia. Ma io lo ricordo  giovanissimo che, ancor prima della notorietà fra i cibernauti, faceva il piazzista di quadri nelle televisioni private a tarda notte. Chissà quante croste avrà smerciato rifilandole per originali capolavori.

Oscena è questa Italia da operetta attraversata  da penosi barbagianni e “da gente infame che non sa cos’è il pudore”, come canta Battiato in “Povera Patria”; questa Italia popolata da “perfetti e inutili buffoni”, mostri e nuovi mostri. Attraversata sulla scena pubblica da personaggi velleitari, cialtroneschi, superficiali, come Borghezio e Calderoli, Alessandra Mussolini, mostri e nuovi mostri again, come Cruciani e Parenzo della Zanzara, Sgarbi, Santanchè, e poi i vari Razzi, Scilipoti, Buonanno, Renato Pallavidini, il professore nazista, la Tina Cipollari di “Uomini e donne”, e via con tanti altri campioni di questo bestiario umano. E di oscenità in oscenità, l’italia s’è rotta”, oppure “qui la vedo brutta, l’Italia è ormai alla frutta!”.

 

Pink Power

“Voglio una donna donna donna / donna con la gonna gonna gonna/                                                                                                       Prendila te la signorina rambo  /che si innamori di te  /sta specie di canguro
che fa l’amore a tempo  /che fa la corsa all’oro  /veloce come il lampo  /tenera come un muro  /padrona del futuro”

(“Voglio una donna” – Roberto Vecchioni)

 

Le Femen sono un gruppo di attiviste tedesche che inscenano plateali manifestazioni di protesta contro il potere costituito. Sono diventate popolari perché spesso lo fanno spogliandosi degli indumenti e restando a seno nudo. Una delle ultime sortite è stata l’assalto a Mario Draghi presso la sede della Banca Centrale Europea a Francoforte. Mentre il Presidente teneva una conferenza stampa, una attivista, riuscita ad eludere la sicurezza spacciandosi per giornalista, è saltata sul tavolo e al grido di “Stop alla dittatura della BCE”, ha sommerso lo spaurito Draghi di volantini e coriandoli, prima di essere fermata dalle forze dell’ordine. Le Femen sono emule delle Pussy Riot, il gruppo punk russo di femministe che si battono contro la dittatura di Zar Putin.  Dico “potere rosa” e mi viene in mente Pink Power ranger, guerriera ninja strizzata nel suo costume rosa nei famosi telefilm per ragazzi. Dico femministe e penso a Mary Wollstonecraft, intellettuale inglese del Settecento e madre di Mary Shelley. “Mary” si intitolava anche il suo romanzo in cui criticava l’istituto del matrimonio e rivendicava un  margine di libertà  per la donna fino ad allora sconosciuto. Il suo trattato  Rivendicazione dei diritti della donna” fu uno dei primi scritti femministi della storia della letteratura. Penso anche a Emmeline Pankhurst, la leader delle suffragette inglesi che si batté, nell’Ottocento, per ottenere il diritto di voto per le donne. Poi mi viene in mente una vecchia canzone di De Gregori, “Informazioni di Vincent”, che recita: “una foto di Angela Davis muore lentamente sul muro”. Tanti anni son passati da quando ascoltai questa canzone per la prima volta e preso dalla curiosità per quel nome citato dal cantautore romano volli sapere a chi appartenesse. Scoprì così che si trattava di una leader nera del femminismo americano, comunista e attivista delle Pantere Nere. Perseguitata dal Ku Klux Klan e imprigionata per un delitto che non aveva commesso, autrice di libri importanti fra gli anni Ottanta e Novanta. Queste riflessioni sul femminismo mi sono venute in mente imbattendomi in rete nella celebre immagine dell’operaia simbolo delle lotte femministe nel poster bellico “We can do it!”:  frase ripresa da Barak Obama nelle elezioni presidenziali americane 2008, nella variante “Yes, we can!” , e scimmiottata anche in Italia da Matteo Renzi nella sua campagna elettorale. In America, circolava anche una foto dell’operaia simbolo del femminismo con il volto di Obama. Io non sono mai stato un appassionato del movimento femminista, pur riconoscendo che esso abbia una validità storica su cui occorre quanto meno documentarsi. Molte sono state le conquiste di questo movimento mondiale, troppo sbrigativamente derubricato dagli uomini come comunista e sciovinisticamente sintetizzato e fatto simboleggiare dalla mini gonna  di Mary Quant ( sebbene a fine Ottocento la femminista francese Hubertine Auclert creò addirittura una “Lega per le gonne corte, per arrivare a questo risultato).  Tante e importanti le conquiste sociali del movimento femminista dicevo, oggi messe duramente a repentaglio quando vediamo una come  Flavia Vento  farfugliare in tv  castronerie dettate dal suo vuoto mentale  o una come  Lory Del Santo, già regina del trash cinematografico, produrre l’ennesima puntata della sua web com  “The lady”.

 

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