Festival dell’economia a Trento. Il tema è Lavoro e Tecnologia. Il programma è di 74 pagine. La prima cosa che cerco è “capitale naturale” e non c’è. C’è il capitale umano. Cerco “sostenibilità”: c’è. E c’è una conferenza su innovazione e sviluppo sostenibile. I relatori sono economisti (Enrico Giovannini e Michael Jacobs). Non trovo alcun esperto di ambiente. D’altronde, a parte il dialogo sulla sostenibilità, non ci sono temi in cui potrebbero giocare un ruolo. “Sostenibilità ambientale” compare una sola volta, in relazione alla società che gestisce l’Autostrada del Brennero!
I costi ambientali sono un’esternalità, qualcosa che sta fuori, all’esterno delle analisi costi-benefici. L’economia è faccenda umana, e non ha relazione con l’ambiente: potremmo dire che il capitale economico non ha nulla a che fare con il capitale naturale e l’uomo può vivere al di fuori della natura. Non può. Se la crescita del capitale economico porta alla decrescita del capitale naturale… sono guai. I guadagni economici sono effimeri e i danni, anche economici, derivanti dalla distruzione del capitale naturale sono di gran lunga superiori rispetto ai guadagni economici. Le tecnologie potrebbero aiutare ad alleviare questi problemi, ma come si fa a risolvere un problema se non si hanno le basi culturali per definirlo? I temi del festival riguardano le interazioni tra le nuove tecnologie e il capitale umano. Che faranno gli umani sostituiti dalle macchine? Ma l’idea di cosa possano fare le macchine per impedire la distruzione della natura non passa neppure per il capo. Anche le tecnologie apparentemente “amichevoli” per l’ambiente, quelle che non implicano combustione, creano problemi quando viene il momento di smaltire le macchine.
Ci sono tanti festival, mi direte. Che pretendi dal festival dell’economia? Che parli di ecologia? Eh beh… sì. Se le nostre attività hanno un impatto sull’ambiente deve essere obbligatorio prenderlo in considerazione, altrimenti si mostrano i vantaggi ma si nascondono gli svantaggi. L’esternalizzazione dei costi ambientali, a fronte dei benefici economici, è una truffa. Una buona economia internalizza questi costi e ci propone visioni che siano realmente sostenibili. Dare un prezzo al capitale naturale non è un buon modo di affrontare il problema. Quale è il prezzo dell’aria che respiriamo? A che prezzo si ripaga il danneggiamento dei nostri polmoni? Le compagnie assicurative servono a questo: danno un valore ai nostri polmoni. Ma questo avviene solo se il danneggiamento è accidentale. Se si sa già che certe cose rovinano l’aria, e si fanno lo stesso, non basta una multa. Non c’è prezzo per i nostri polmoni, ne convenite? Chi li danneggia deve andare in galera. Non sto parlando di un tale che fuma nella vostra stessa stanza, sto parlando di chi produce devastando l’ambiente, rendendo l’aria irrespirabile con impianti industriali che ammorbano aree enormi. Tutti i salentini sanno di che parlo: centrali a carbone, acciaierie, cementifici. Ci dicono: ma se produciamo senza inquinare non siamo competitivi. Questo è un bel tema per economia e sviluppo tecnologico: le tecnologie che non inquinano non sono ancora “convenienti” economicamente. È chiaro? Il costo di non danneggiarci i polmoni è più alto dei guadagni. Meglio danneggiarli, e poi magari pagare i danni. Parlo di polmoni, ma questo vale per tutto quello che ci circonda. I costi delle cure sono enormi, tra l’altro, ma non le paga chi inquina. Non dobbiamo curare i malati, dobbiamo fare in modo che non si ammalino! Poi, ovviamente, se si ammalano vanno curati, ma il primo obiettivo deve essere che non si ammalino.
Sarebbe bello un eco-festival, dove le due scienze eco- (economia ed ecologia) si potessero confrontare e, assieme, trovare soluzioni. Purtroppo la separazione esiste, quantomeno al festival di Trento. I festival sono un modo molto efficace per promuovere le città, e ognuna oramai si definisce con il suo festival. A Genova il Festival della Scienza, a Modena il Festival della Letteratura, a Ferrara il Festival di Internazionale, a Trento il Festival dell’Economia, e via festivalando. È bellissimo approfondire, ma il rischio è che ogni branca della cultura scavi così profondamente al proprio interno da non poter vedere gli “scavi” che le sono accanto. L’ampiezza di visione dovrebbe accompagnarsi alla specializzazione in un campo, come minimo per permettere un dialogo tra le varie branche di quella che dovrebbe essere Cultura e basta, senza aggettivi che ne definiscano i limiti.
Riuscire ad organizzare un festival che attiri un pubblico nazionale, diventando il biglietto da visita di quella città, è diventato l’obiettivo di molte amministrazioni. Gran parte di questi festival sono nel centro-nord, mentre la proposte di città meridionali sono meno frequenti e, di solito, non sono coperte dai media nazionali. Non è facile inventare un festival che funzioni, se si cercano argomenti specifici. Ma basta fare un passo indietro, e guardare la miriade di offerte culturali, per capire che manca la sintesi, la visione d’insieme. Insomma: l’uovo di Colombo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di lunedì 4 giugno 2018]