Radio palude: cronistoria di una crisi di governo

di Paolo Vincenti

Nonostante la buona performance del centro-destra alle elezioni del 4 aprile, i suoi leaders fanno di tutto per vanificare il vantaggio elettorale. Più e peggio di tutti fa Berlusconi, il quale si è prodigato in una delle sue smargiassate all’uscita del giro di consultazioni avviato dalla Presidente della Camera Alberti Casellati. Mentre il leader in pectore del centro- destra Salvini riferiva alla stampa, nella sala degli arazzi, il Cav,  sempre protagonista, anche involontario, evidentemente in sofferenza per aver dovuto cedere lo scettro al più giovane leghista, ha iniziato una pantomima da smorfia napoletana commentando l’intervento di Salvini con una prossemica che ha fatto ridere di lui tutta Italia. “Il Delinquente umilia Salvini, insulta i 5Stelle e spera nel Pd”, titola Il Fatto Quotidiano del 13 aprile 2018. Purtroppo il buffonesco leader forzitaliota non riesce a stare al proprio posto, si sa, e pur di prendersi la scena arriva a rovinare la festa al suo stesso alleato. “Sappiate distinguere chi è veramente democratico da chi non conosce nemmeno l’abc della democrazia”, ha detto ai giornalisti assiepati nella sala stampa, con chiaro riferimento ai Cinque Stelle. Questi, infatti, nel giudizio di Berlusconi, sono rei di averlo ostracizzato, poiché fra le tante condizioni che i pentastellati pongono per far nascere un governo, la prima e forse esiziale è che al tavolo con loro non si sieda il Berlusca. Di Maio infatti è tentato di comporre un governo con Salvini e fors’anche con la Meloni, ma mai con il leader pregiudicato che rappresenta nell’immaginario collettivo dei Cinque Stelle il peggio del sistema politico italiano.

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È tutto un gioco di veti incrociati e ad un mese e mezzo dal voto ancora non si riesce a formare un Governo. Il Movimento Cinque Stelle vorrebbe allearsi con la Lega lasciando fuori il resto della coalizione di centro-destra.  Di Maio fa un appello disperato alla Lega di mollare il Cvaliere e tentare un’ipotesi di Governo con i Cinque Stelle. E che caspita, sembra voler dire il pao politico dei Five stars, in fondo siamo forze populiste entrambi, sovraniste, no euro, che contano sul voto degli straccioni del sud e dei disoccupati e vessati del Nord, siamo accomunati dallo scontento che serpeggia nel ese e che ci ha portato valanghe di voti, contro la csta dei porci mafiosi politici secondorepubblicani. Allora, perché non metterci insieme?  Ma ovviamente Forza Italia e Fratelli d’Italia non ci stanno.  Non ci sta nemmeno Salvini, non solo per il non possumus berlusconiano, ma perché un minimo di intelligenza politica gli suggerisce di rinviare al mittente le squallide profferte dei 5S. Se Salvini dovesse mollare Berlusconi e la Meloni, cosa farebbe? Da leader di una colazione al 37% resterebbe soltanto segretario di un partito del 18%. In un malaugurato governo Grillini-Lega, Salvini dovrebbe fare il secondo di Di Maio.  Ovvio che il Matteo respinga l’offerta di “Giggino”. Al tempo stesso, mi sembra normale che Berlusconi non voglia fare nessun passo indietro né offrire alcun sostegno ai Cinque Stelle, in un governo che non lo veda protagonista. Berlusca vuole pari dignità degli alleati , cioè potersi sedere al tavolo delle trattative insieme a Salvini e alla Meloni. Di Maio lo vede come fumo negli occhi e tutta la base del movimento disprezza il Cavaliere considerandolo il peggio assoluto. I margini di trattativa per Di Maio dunque sono davvero stretti. Nonostante la sua voglia matta di diventare capo del governo non può passare sopra ai principi cardine del movimento stesso, alle idee di base del popolo pentastellato. Dopo anni ed anni di contumelie ed invettive nei confronti dei partiti di governo e in ispecie di Forza Italia e del suo pluripreguidicato leader, come farebbe ora a mettersi insieme in un patto governativo?  Ci sarebbe una sommossa. Dunque, nonostante le attese, nulla di fatto, anche dopo il secondo giro di consultazioni da parte della Presidente del Senato Alberti Casellati. Il Presidente Mattarella assiste sgomento a questo teatrino, fra i peggiori che abbia offerto la storia repubblicana italiana, e non può del resto nemmeno entrare in scena per aggiustare la tragicommedia e salvare il salvabile, non è primattore, semmai regista, e quindi resta terreo davanti alla brutta riuscita dei suoi commedianti. Questi ultimi sicuramente ci fanno ridere, come fanno ridere il resto del mondo, ma ridere per non piangere non è il massimo per un Paese che si vanta di essere fra le più evolute democrazie occidentali.

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Renzi crolla nei sondaggi interni al suo stesso partito. Addirittura viene superato da Cuperlo e dal segretario reggente Martina, tanto che Andrea Orlando, fra i capi dell’opposizione interna, non esita a fargli sapere che deve mettersi da parte e lasciare lavorare il neo segretario. Renzi ha ribadito la linea del partito avversa a qualsiasi alleanza col Movimento Cinque Stelle. Ma dalla minoranza salgono sempre più rumorosi i malumori, specie da parte di chi, come Emiliano, non gradisce questa linea oltranzista. Il Governatore della Puglia infatti sarebbe anche favorevole ad un appoggio ai Cinque S ma deve vedersela con una maggioranza renziana che sembra blindata dal suo leader nella linea dura del no all’alleanza. In vista dell’assemblea del partito, le divisioni interne si fanno sempre più insanabili ed emergono evidenti ad ogni intervista, incontro, servizio televisivo.  La prova del nove sarà l’elezione del nuovo segretario, quando si dovrà decidere se confermare il traghettatore Martina oppure eleggere un nuovo leader, magari fra gli stessi renziani Guerini e Del Rio. In quell’occasione si misurerà la tenuta interna del Pd e soprattutto i rapporti di forza fra le varie anime del partito, quella per ora maggioritaria renziana che sembra destinata a vincere ancora, oppure quella minoritaria degli Orlando ed Emiliano che potrebbe sorprendere con un imprevisto colpo di mano. Intanto il presidente Orfini ribadisce la scelta dell’opposizione, confermando il diktat del Matteo nazionale. E d’altro canto, la posizione di Renzi è coerente, non si può negare. Come affrontare una alleanza coi Cinque Stelle che fino a ieri dicevano peste e corna del Pd? Come si potrebbe spiegare, sostiene l’ex Segretario, all’elettorato Pd una virata del genere? Non perderebbe forse il partito quei pochi e risicati consensi che gli sono rimasti? Non si assottiglierebbe ulteriormente,  quello che era il primo partito italiano prima della debacle del 4 marzo,  fino a scomparire, dopo la cura dimagrante delle politiche, riducendosi a pelle ed ossa?  Nei ragionamenti di Renzi, a mio avviso condivisibilissimi, la dirigenza del Pd non può benedire un governo dei populisti andando a braccetto con coloro che li definivano mafiosi, corrotti, lobbysti e via denigrando. Solo pochi poltronisti piddini, avanzi dell’establishment, ferri vecchi come Orlando e Emiliano, attaccati allo status quo sembrano non capirlo, ovvero lo capiscono bene ma fanno ammuina nella speranza di poter godere ancora di qualche  rendita di posizione nel nuovo evo pentastellato, che invece li vedrà immancabilmente soccombenti.

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Non basta aver sconfitto l’establishment per dirsi degni di governare. I Cinque Stelle non lo sono e credo nemmeno i leghisti. Tuttavia hanno il dovere di provarci dato che le elezioni gli hanno consegnato, con la forza dei numeri, questa responsabilità. La speranza è che non ce la facciano e riconsegnino la responsabilità al Presidente della Repubblica. Ciò perché una vera iattura sarebbe un governo Cinque Stelle Centro –destra,  ancor peggio sarebbe uno Cinque Stelle Lega, nel caso Salvini dovesse rompere l’alleanza con Berlusconi e Meloni. Anche il secondo giro di consultazioni finisce con un nulla di fatto. Di Maio ribadisce il niet nei confronti di Berlusconi insultato pesantemente dal descamisado Di Battista e bollato come il male assoluto. Della serie cronache dalle paludi, ma si tratta di paludi più fitte di quelle dell’Everglades in Florida. Non se ne esce.

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Sic stantibus rebus, l’unica alternativa, nonostante le dichiarazioni di fedeltà di Salvini a Berlusconi e al centro-destra, sarebbe quella di un’alleanza giallo-verde. Ma quella fra Movimento Cinque Stelle e Lega Nord sarebbe un ircocervo, animale mitologico evocato da Berlusconi,  un’insalata russa alquanto indigesta.  Vero che si tratta di un’ipotesi abbastanza remota stante la idiosincrasia dei pentastellati per “Belluscone” per dirla con il  film di Maresco. Tra Lega e Cinque Stelle ci sono pochissime affinità, si tratta di due mondi diversi sebbene entrambi i movimenti politici peschino nel medesimo elettorato, quello insoddisfatto e arrabbiato con una grande voglia di cambiamento. Sono due entità antropologicamente distinte che se si coacervassero porterebbero ad un governo papocchio, un ibrido in salsa popular ribellista. E il Presidente Mattarella non gradisce questa ipotesi, anche se i tempi biblici che occorrono per la risoluzione della crisi stanno mettendo a duro cimento la sua pazienza di Giobbe. Notaio sì, ma becchino no. Il mato matto Mattarella infatti non vorrebbe dare l’strema unzione ad un governo morto nella culla, men che meno abortito prima ancora di nascere. Tuttavia se, nel perdurare dello stallo, dovesse il Capo dello Stato dar vita ad un governo istituzionale, allora credo che sarebbe l’elettorato a non soffrire questa soluzione terza, imparziale, tecnica, e gli stessi rappresentanti politici dovrebbero fargli capire che non è più tempo per una riedizione del Governo Amato del 1992 (il quale al momento detiene il record della durata più lunga della gestazione, 66 giorni), o ancor peggio per un Governo Monti, quello dei tecnici puri che hanno infognato l’Italia. E nemmeno per un governicchio balneare, sia pure presieduto da un politico, come quelli noti nella Prima Repubblica, un governo ponte che portasse il Paese ad uscire dal pantano senza inzaccherarsi troppo lo stivale. 61 giorni è il record della precedente tornata elettorale del 2013, per far nascere il governo Letta dopo lunghe e sfiancanti trattative fra il Pd di Bersani e i Cinque Stelle, riottosi ad accettare la palma del martirio offertagli dallo smacchiatore di giaguari. Dunque, se non un governo tecnico, riedizione di precedenti non proprio fortunati, la soluzione finale sarebbe quella di riportare il Paese alle urne. E io credo che questa sia la strada migliore se Sergio Mattarella ne prenderà atto.

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Di Maio non vuole allearsi con il centro-destra all inclusive di Salvini Berlusconi Meloni, soprattutto per la presenza del malefico (agli occhi dei Cinque Stelle) Cavaliere, ma sa anche che la strada di una alleanza con la sola Lega non è percorribile. D’altro canto, Matteo Salvini sa bene, o dovrebbe sapere, che scaricare Berlusconi per allearsi con Di Maio non gli conviene. Intanto i programmi dei due partiti sono molto diversi e poi frantumare la coalizione di centro- destra che lo ha portato a prendere tantissimi voti sarebbe quasi folle; oltre a tradire Berlusconi, tradirebbe l’elettorato di destra che ha creduto in questo progetto. Perché, in effetti, abbandonare una colazione del 37%, di cui egli è diventato leader riconosciuto, per allearsi con il Movimento Cinque Stelle mantenendo solo la sua percentuale del 18%? In una siffatta coalizione, Salvini perderebbe la leadership a vantaggio di Di Maio che in forza del suo 32% detterebbe le condizioni. Sarebbe un’iniziativa suicida per Salvini fare il numero due in casa altrui quando può essere il numero uno in casa propria, del tutto assurdo fare l’utile idiota, il civil servant di Di Maio, e la stessa Lega sarebbe in un certo senso espropriata di buona parte della propria identità, ovvero di molti punti di quel programma di governo che Salvini rivendica e che lo ha portato alla vittoria nelle elezioni di marzo. Troppa distanza corre fra le due visioni dell’Italia di Movimento 5S e Lega. Ecco perché Di Maio sta guardando al Partito Democratico e da più tempo i suoi hanno iniziato a corteggiare il Pd, accarezzando l’idea di una alleanza alternativa. Anche per i renziani questo sarebbe un suicidio, perché un impegno governativo porterebbe il Pd a contare momentaneamente ma lo affosserebbe alle prossime elezioni. La gente è stufa del Pd e se lo ha bocciato il 4 marzo molte buone ragioni ci saranno, non è che uno mette alla porta un ospite scomodo per vederselo rientrare dalla finestra. E allora che succede? Niente. Litigano i partiti all’interno del centro -destra, litiga il Pd al suo interno, litiga il Movimento 5s con Berlusconi il quale a sua volta insulta i pentastellati, litigano i giornalisti sulle diverse visioni di un futuro governo, e il risultato è che la gente non crede più nella politica. “La morte dei partiti genera solo mostri”, titola “Libero” del 18 aprile 2018, facendo riferimento al disgustoso spettacolo offerto dai leader che non riescono a trovare un accordo. “Preferivo morire democristiano” scrive uno sconsolato Pietro Senaldi.

Intanto, alcuni esponenti del Pd vengono tentati dalle offerte dei Cinque Stelle. Sono i soliti della minoranza che pur di fare un dispetto a Renzi si butterebbero in un fosso.  Avallare infatti la politica dei due forni del Movimento 5S sarebbe davvero la Caporetto del Pd, e la sciagurata ipotesi di una trattativa di governo esporrebbe i piddini al ludibrio. Non credo che avverrà. Quello che sgomenta è come i Cinque Stelle, il movimento dei camaleonti, possa fare patti con il diavolo pur di governare; sono pronti a rimangiarsi tutto quello che hanno sempre sostenuto pur di vedere le loro stelle cadenti far cupola sopra Palazzo Chigi. Salvini o Renzi per me pari sono, destra e sinistra sono categorie superate, non esistono più, l’importante è governare, possibilmente con Di Maio Premier, chi mi dà da mangiare lo chiamo papà.

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È una scena penosa, uno stralunato teatrino dell’assurdo, il vaudeville che si balla fra Salvini e Di Maio: si cercano, si annusano, si stringono la mano, poi si insultano, quindi si ricercano;  attrazione fatale? A me appare balzana l’ipotesi di un accordo stretto tra i due in nome di una convenienza che sarebbe tutta del Movimento Cinque Stelle e non della Lega, che fra i due mali allo stato attuale delle cose ritengo sia quello minore. Eppure i sondaggi sembrano premiare i due movimenti, perché aumentano i loro consensi. Sarà l’effetto vittoria elettorale che porta molti Italieni a saltare sul carro dei vincitori, sarà un rafforzamento, specie della Lega, nei territori, ma io non riesco a spiegarmi come mai si possa premiare una politica così ondivaga dei due leaders in pectore, i re tentenna Matteo (si) Salvi e Gigi (la trottola) Di Maio. La crescita nei consensi è così evidente che Salvini sta meditando davvero di abbandonare il sempre impresentabile Cavaliere, specie dopo le sue ultime esternazioni contro i Cinque Stelle e le sue battute al solito fuori luogo. Ci sarebbe poi da interrogarsi, se Salvini così facesse, sul valore della coerenza in Italia, se anche questo non fosse un esercizio inutile quanto dannoso. A volte infatti è meglio non ragionare e metterla in berta e burletta come fa la satira.

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Il piano della parte minoritaria del Pd era chiaro: cercare un’alleanza con Di Maio per continuare a contare e poi, chissà, trovare una sponda alle prossime elezioni politiche con l’appoggio dei Cinque Stelle per eventuali scalate e tornaconti personali. Solo che il bischeraccio Matteo li ha smascherati e in un’intervista da Fabio Fazio ha ribadito il no del Pd a qualsiasi inciucio coi Cinque S, un no incondizionato che ha mandato in bestia gli Orlando, Emiliano, Franceschini, ecc.  In pratica Renzi ha dettato la linea del partito, anzi l’ha ribadita, poiché in questo, occorre riconoscerglielo, è stato molto coerente fin dal giorno successivo alla sconfitta del 4 marzo: mai coi Cinque Stelle, aveva detto, saremo all’opposizione, e da quella posizione ha continuato a mantenere dritta la barra al centro. Solo che ad un certo punto Martina, il segretario reggente, dimenticando di esser stato messo lì da Renzi, tentato dalle malelingue  e lusingato dai caporali del Pd, ha provato a ribellarsi al suo creatore, come il mostro con Frankestein. Mal gliene incolse, dopo la furia del padre padrone è ritornato nei ranghi e da bravo scolaretto ha portato a termine il compitino che gli era stato assegnato. Con la direzione del Pd, è stata ribadita la linea dura del partito, niente appoggio ai Cinque Stelle, opposizione pura. Certo la tensione è stata alta, con la fronda che minacciava fuoco e fiamme dai quali però, in quanto fronda, sarebbe stata auto combusta. Quindi  ecco approvato un documento unitario dal quale si evince che coi Cinque Stelle si tratta di un capitolo chiuso. Emiliano continua sotto sotto a sperarci, ma sono appaiono chiari i rapporti di forza all’interno del partito. È ancora Renzi a tenere le redini. Questa chiusura del Pd, nonostante i malumori dei Veltroni, Fassino e Martina (il quale, per aver  fatto il Ministro dell’Agricoltura sul campo, di rospi deve averne visti tanti per non sapere quanto sia grosso quello che ha dovuto ingoiare), riapre la partita del Colle. Infatti, ora che l’ultima fumosa possibilità di alleanza è saltata, ossia quella Pd Cinque Stelle, dopo quella Cinque Stelle Centro-destra (di un’alleanza Centro-destra Pd non si è neppure parlato, i numeri risicati la escludono di fatto, e comunque Salvini sarebbe indisponibile ad una simile accozzaglia) non resta che la strada di un Governo istituzionale, al quale Mattarella ha già iniziato a lavorare. Intanto il governo Gentiloni continua a campare come il cavallo dell’apologo ma al contrario, cioè in attesa che cresca l’erba di un nuovo Governo che invece di sfamarlo dovrebbe farlo morire.

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I  programmi dei Cinque Stelle e Lega Nord non sono compatibili nonostante gli sherpa dei due partiti stiano tentando di agganciare una alleanza che li porterebbe a governare insieme. Si dovrebbe però passare sopra al reddito di cittadinanza oppure alla Flat Tax, per indicare le due misure spoT, quelle cioè sulle quali i due partiti si sono giocati la campagna elettorale. Il fatto è che insieme sarebbero compatibili “come il wisky con la cirrosi”, come scrive Lino Patruno su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 23 marzo 2018. Il loro sarebbe un abbraccio fatale come quello della mantide religiosa che uccide il suo amante mentre copula. Il Sud che richiede maggiore assistenza e il Nord che vuole meno freni al lavoro e alla crescita sono espressione di una diversa forma mentis, di un modo contrapposto di guardare all’Italia, alla crisi e alle sue soluzioni, mai come ora sembra che il  Paese corra a due velocità e che l’Italia corra ad una velocità diversa rispetto all’Europa, mai come in questi ultimi anni è sembrato che il nostro paese sia tagliato fuori dal cerchio magico europeo, che non sappia acciuffare il treno della crescita e della ripresa. Va da sé che i muri che dividevano destra e sinistra sono stati abbattuti ormai e la grande dicotomia che permea la politica italiana è quella fra forze nazionaliste e sovraniste e forze moderate ed europeiste, o per dirla in maniera più rozza, fra populisti ed elites. Ma pur essendo entrambe forze anti sistema, un conto è la Lega e un altro è il Grillo partito.  Del pari, fatale sarebbe l’abbraccio fra Forza Italia e Pd, nel malaugurato caso di un’intesa fra gli anti casta. Quel che resta dell’elettorato di centro- destra esclusa la Lega e dell’elettorato del Pd non sarebbe una somma algebrica; gli elettorati, contigui ma distinti, non gradirebbero di soffocare la propria identità, annullare le proprie differenze, in un generico, popolare ma non populista, veterocristiano, riformista ma non troppo, moderato ma un po’spinto, partito della nazione.  Pd e Forza Italia devono dunque mantenere le posizioni: il Pd inesorabilmente all’opposizione, qualsiasi Governo si faccia tranne quello tecnico; Forza Italia in un auspicabile Governo del centro –destra e, se questo non fosse possibile a causa dei numeri, in un governo del Presidente. Quest’ultimo anzi darebbe la possibilità ai forzitalioti di riorganizzarsi e di non perdere ulteriori consensi. Se invece le “affinità elettorali” porteranno Di Maio e Salvini a mettersi insieme, il loro sarebbe il bacio della morte, per Forza Italia, che sempre più marginalizzata rischierebbe di scomparire del tutto.

In effetti, Il divorzio fra Salvini e Berlusconi sembra ad un passo ma per adesso i due coinquilini devono stare insieme nell’interesse primario della coalizione. Anche la Meloni sembra dare segnali di insofferenza mentre quelli di Noi con l’Italia sono ormai spariti, risucchiati nel gorgo della tornata elettorale del 4 marzo. Da parte del Movimento Cinque Stelle continuano le barricate contro Berlusconi col quale dicono di non volersi sedere a trattare. Il Berlusca però non ci sta a farsi ostracizzare e continua a ripetere che i Cinque Esse non comporranno mai un Governo senza di lui, che Forza Italia non darebbe mai il proprio appoggio e quindi, a meno di spettacolari sorprese, ognuno rimane intrappolato nel proprio ruolo.

Aprile 2018

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La risibile politica dei due forni inaugurata dai Cinque Stelle rischia di portare l’Italia allo sbando.  Di Maio e Salvini giocano al rimpallo delle responsabilità.  Di Maio dice di averle provate tutte e si inventa un buscherio di panzane per ammantare la sua ostinata volontà di fare il Premier, nella consapevolezza che se dovesse perdere questa occasione non gliene si presenterà un’altra, Salvini accusa Di Maio di far finta, di non volere governare, quel farabolone di Berlusconi si ostina a tenere blindato il centro –destra, convinto che o si governa con lui oppure niente. Il Presidente della Repubblica, apparentemente così blasè, inizia a perdere la pazienza e lancia segnali di fumo per farlo capire alle forze politiche.  Intanto lo stallo spaventa anche l’Europa. Il commissario Moscovici fa una dura reprimenda stigmatizzando l’incredibile immobilismo italiano ed anche lo spread comincia a rialzare la testa. Chiaro che la comunità europea non gradisca questa lunga anticamera e vorrebbe un governo certo, possibilmente non euroscettico, per l’Italia. Ma purtroppo, continua ad impazzare la schizofrenica tiritera del “vengo anch’io no tu no”, e i veti incrociati, le ambizioni personali, la smania di contare, le (false) promesse da mantenere, rendono impervio il cammino verso la soluzione della crisi. Al di là delle boutade di chi come Peter Gomez sul “Fatto” o Renato Farina su “ Libero” sostiene di star bene pure  senza un Governo, la situazione è davvero allarmante, anzi poiché siamo in Italia possiamo dire che la situazione è grave ma non seria.

Ora, dopo il fallimento del mandato a Fico, per una intesa Pd Cinque Stelle, non resta che un governo del Presidente. Mattarella, constatata l’incapacità delle forze politiche di mettersi d’accordo per dare una guida al Paese, deve proporre un governo di garanzia che dovrebbe portarci a nuove elezioni. Quasi tutte le forze politiche però sono avverse a questa ipotesi e stanno scalmanando per chiedere elezioni subito, a luglio o al massimo a ottobre. Ma intanto ci sono delle scadenze che non si possono ignorare: a giugno la partecipazione dell’Italia al Consiglio Europeo per il Bilancio Ue e ad ottobre l’aumento dell’Iva dal 22 al 24°%. Chi ci penserà? Lega e Cinque Stelle chiedono al Presidente di scongiurare un “Governo del cavolo”, come lo ha definito Libero, ma Mattarella deve fare il proprio dovere fino in fondo perché quella delle elezioni anticipate è l’ultima spiaggia a cui un Capo dello Stato deve guardare. Dunque, giocoforza, il Presidente dovrà proporre uno straccio di governo tecnico per farlo poi bocciare dal Parlamento e potere mandare il Paese al voto con la coscienza serena. Che figura di merda per il Movimento Cinque Stelle: come nella peggiore Prima Repubblica dei trasformisti, si è rivolto prima alla Lega, poi al Pd, secondo la politica dei due forni, come se l’uno o l’altro pari fossero nella natura politica e nel sentimento dei loro elettorI. Il fornaio Di Maio è riuscito ad ottenere un niet sia dagli uni che dagli altri ed ora sconsolato guarda al paventato governo del Presidente non sapendo come giustificare ai suoi questa imperdonabile caduta.  Non credo che un governo tecnico vedrà la luce, e per fortuna sia Berlusconi che Renzi, nel loro tramonto politico, qualcosa di buono hanno fatto, mettendosi di traverso a due sciagurate prospettive di intesa coi Cinque esse, quella della Lega e quella del Pd.  Non resta che andare a nuove elezioni. Poi, dalle urne si vedrà se usciranno nuove maggioranze.  Ed ora tutti al voto, gridano all’unisono dal centro-destra, Salvini e Meloni in primis. L’unico a non far salti di gioia è Berlusconi il quale sa che se si votasse ora ci sarebbe un plebiscito per la Lega Nord e Forza Italia sarebbe ulteriormente risucchiata nella spirale leghista. Ma si trova in un cul de sac e non può far altro che assistere impotente al degenerare della situazione. Il Cavaliere sarebbe favorevole ad una soluzione intermedia, quella di un Governo tecnico, giusto per far decantare per qualche mese la situazione, ma non saprebbe come spiegarlo a Salvini. Matteo gli rimprovererebbe di non rispettare i patti, così come avrebbe fatto lui qualora avesse aderito alle richieste dei Cinque Stelle di un governo in solitaria. Vediamo chi è ora il traditore, sembra che pensi Matteo Salvi(chi può). Alle urne, alle urne! Il notaio Mattarella deve mettercela tutta per comporre una proposta di governo istituzionale, un Governo del menga, sempre per dirla con “Libero”, che sarà talmente scassato da ottenere un rifiuto persino dall’agonizzante Pd.

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E a proposito del Partito Democratico. Quella della spaccatura interna del Pd è una vecchia storia, un “De jà vu”, come il titolo del libro del giornalista Francesco Cundari, edito dal Saggiatore, che reca scritto in copertina: “Dove si raccontano venticinque anni dell’interminabile guerra della sinistra italiana, le sue innumerevoli contraddizioni, i suoi mutevoli personaggi, e si chiarisce che questa storia non ha inizio né fine; non conosce alcuno sviluppo, alcuna evoluzione, alcun cambiamento. È un magma, o, se preferite, un girotondo”.  Record, credo, di sottotitolo più lungo della storia dei libri.” Il Direttore di Red Wings, non la squadra di hockey su ghiaccio statunitense, i Detroit Red Wings, né la compagnia aerea, ma una rivista, esamina dall’interno le cause profonde delle spaccature della sinistra, “ripercorre l’infinita notte dei lunghi coltelli della sinistra in un unico, abrasivo racconto. Sviscera i risentimenti personali, le vendette tardive, le inimicizie implacabili che hanno trasformato l’area progressista in un terreno radioattivo, una gioiosa macchina da guerra in un plotone d’esecuzione. Ricostruisce una storia che si ripete identica da venticinque anni, come un girotondo. Una storia fatta di vittorie effimere e sconfitte brucianti, di partiti che si riproducono per meiosi, di leadership deboli e congiure di palazzo”. Ma ormai parlare del PD diventa accanimento terapeutico per non dire vilipendio di cadavere e allora sarà meglio astenermene.

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Tanto tuonò che piovve

Che delusione, amarissima delusione. Alla fine i due fratelli coltelli, Giggino  e Matteo, hanno stretto quell’accordo che da più parti si paventava o auspicava. Vistisi alle strette, con il Presidente Mattarella pronto ad affidare l’incarico ad un Premier terzo, hanno preso il telefono ed hanno fermato tutto. E il Colle ha concesso loro un supplemento di tempo per presentargli una proposta decente di un governo la qualunque, e così il papocchio è servito. I Dioscuri, come sono stati ribattezzati dalla stampa, hanno trovato la quadra, direbbe Bossi, solo che il vecchio Senatùr non è affatto contento di questa soluzione, essendo egli restato fedele al Cavaliere. Che disdetta, terribile amarezza. Eppure avevo pensato davvero che il Lumbard potesse mantenere fede alle proprie parole e non rompere la coalizione di centro-destra con la quale è stato eletto. Non perché io nutra particolari simpatie per Forza Italia o Fratelli d’Italia, e nemmeno per la Lega, ma avrei voluto vedere alla prova del Governo Salvini. Infatti, fra i due mali venuti fuori dalle elezioni del 4 marzo, ho deciso di scegliere quello che ritengo minore e di fare come dicono i napoletani: “abbracciati ‘o cess’ e canta: non son degno di te!”. E fra populisti in salsa cinque stelle e populisti in salsa lombarda, optare per questi ultimi.  Chiaro che anche i margini per un governo del centro-destra non ci fossero. Io speravo si andasse a nuove elezioni e, se proprio i Cinque Stelle dovessero stravincere, che essi governassero da soli, per potersi così autodistruggere. Ma il papocchio no. E il contratto di governo? Una barzelletta che sta facendo ridere, per non piangere, tutti gli analisti politici. Mattarella, più che notaio, becchino, si limita a ratificare questo insulso accordo sotto gli occhi strabiliati degli osservatori internazionali. Ben diversamente sarebbe andata se su quello scranno sedesse ancora l’interventista Napolitano, il quale invece se la passa malaccio seduto in un letto d’ospedale per via della recente operazione al cuore.  Tanti spingevano per questo accordo. Ma che Salvini si facesse prendere così per la collottola dal più giovane Di Maio, non lo avrei detto. Egli, leader scafato, maturo, certamente un po’ grossier ma con le idee chiare, dimostrava di essere all’altezza del ruolo che buona parte dell’elettorato italiano gli aveva assegnato, cioè quello di dare una svolta reazionaria, xenofoba e militaresca a questo Paese, giusto per vedere l’effetto che fa, il tempo di una legislatura.  Invece, Di Maio, con un mix di astuzia e capacità, è riuscito a gabbare il leghista e l’ha blandito, lo ha circuito, allettato, con le sue  profferte, e alla fine se l’è messo nel sacco. Che brutta fine per la Lega Nord, che da primo partito di una coalizione potenzialmente vincente diviene costola del Movimento grillino. I pentastellati, a forza di balle, sono riusciti ad imbecherare gli elettori e anche l’establishment; da straccioni, anti sistema, refrattari ad inchini e riverenze, sono diventati delle star da copertina di riviste patinate, amici degli amici, da pezzenti descamisados a pezzi da 90, da giustizialisti ad ipergarantisti, e così va il mondo e prenditelainsaccoccia. Berlusconi ha sempre temuto questo accordo e negli ultimi tempi si era fatto malfidente nei confronti del suo giovane alleato. Ma si trovava in un vicolo cieco, che cosa poteva fare il vecchio leader? O muori adesso o più tardi, l’aut aut. Messo all’angolo da Salvini, doveva scegliere fra andare subito alle elezioni, con la quasi certezza che il suo partito si polverizzasse (non gli era ancora giunta la notizia della sua riabilitazione e conseguente rieleggibilità), oppure accettare un governo Cinque Stelle- Lega. Ha scelto anche lui il male minore, posto che la soluzione migliore, quella di mantenere unito il centro- destra, era ormai divenuta utopia. Magari il Caimano avrà trattato segretamente coi Cinque stelle, mediatore Salvini, per ottenere delle garanzie per le sue aziende e forse l’assicurazione che non si toccherà il conflitto di interessi. Di Maio si è lavato la coscienza con i suoi elettori perché può rivendicare di aver messo fuori Berlusconi. Ma non si capisce qual sia il tornaconto di Salvini. Farà parte di un Governo a trazione Cinque Stelle, sarà Di Maio a dare le carte, lui deve fargli da cameriere. Non ricorda forse la fine che ha fatto Fini? E quella che ha fatto Alfano? Spariti nel buco spaziotemporale, ricacciati nell’oblio. E inoltre, quanto dovrà cedere sul suo programma, visto che si tratta di un governo di compromesso? Ma pure Di Maio dovrà fare molti passi indietro rispetto alle dinamitarde dichiarazioni della campagna elettorale. Come farà a cambiare i criteri di nomina della Rai, visto che Salvini non la pensa allo stesso modo su questo punto? E ancor peggio, come farà a praticare la lotta dura alla corruzione e alla mafia stante l’ingombrante presenza di Berlusconi del quale Salvini si è fatto garante in cambio del via libera all’accordo?  Accetteranno gli elettori Cinque Stelle, già stufi delle incredibili capriole di Di Maio (che infatti è in leggero calo nei sondaggi), accettare questo ulteriore compromesso al ribasso? E cosa sarà della nostra presenza in Europa con un governo guidato da due forze che sono tradizionalmente una euroscettica e l’altra anti Ue e anti euro? Eppure, come spiega Gianfranco Viesti, su “Il Messaggero”, del 4 maggio 2018, noi abbiamo bisogno dell’Europa. Specie al Sud, “i fondi regionali europei sono l’unico strumento per potenziare l’ancora assai carente infrastrutturazione materiale e immateriale, rafforzare le sue imprese, dare prospettive e speranze ai cittadini più deboli”. In particolare, con il drastico taglio dei Fondi di Sviluppo e Coesione previsto dalla proposta di Bilancio europeo 2021-2027, per far fronte alle perdite determinate dalla Brexit, ad essere penalizzate saranno soprattutto le regioni del Sud Italia. Il Governo che si sta formando saprà battere i pugni sul tavolo della Commissione Europea per fermare questo drenaggio di fondi a discapito dei più deboli? L’Italia è tra i Paesi fondatori dell’Ue e dovrebbe certamente aver più voce in capitolo, tenendo conto che i finanziamenti europei sono ossigeno per le moribonde aziende meridionali, per la languente formazione professionale, per le carenti infrastrutture. Chi, fra Lega e Movimento Cinque Stelle, potrà avviare questa trattativa con la Commissione Europea? Nei loro proclami elettorali essi hanno sbandierato attenzione per le aree più depresse del Sud, ma nei fatti temo che non sapranno far allocare maggiori risorse, spingere davvero la ripresa economica, dovendosi per questo scontrare con un sovraente, l’Europa, nel quale non credono. E allora sarà di nuovo l’assistenzialismo la risposta alla endemica fame di sviluppo del Meridione. Quello che hanno saputo inventarsi è un contratto di governo che sembra un libro dei sogni, per la cui realizzazione è stato affidato l’incarico ad un anonimo e sciapito Premier passepartout, l’azzimato Conte. Non esistono ricette miracolose, si sa, ma si è rinunciato anche a quel minimo di aspettativa, magari beota, a quel tenue lumicino che in genere si accende in presenza di un cambiamento. Stavolta nemmeno vale la stolida speranza, sappiamo già come andrà a finire, è un copione già scritto, e l’acritica adesione degli elettorati Cinque Stelle e Lega al programma di governo, soltanto una sbandata collettiva, un miraggio che si dissolverà appena essi scenderanno dalla nave del viaggio di nozze. Mettere i piedi a terra sarà un brusco e traumatico risveglio.

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Attenti ai mercati! 

Mato matto Mattarella!! Da gabbiano a falco nel tempo di un giro di consultazioni.  Il più freddo e distaccato interprete del rigore quirinalizio, imbalsamato nel protocollo, ingessato in un ruolo notarile che poco o niente concede a soprassalti emotivi, di colpo trasforma il suo settennato in uno dei più politici che ci siano stati. Il nipote di Mr Spock, il vulcaniano della serie fantascientifica “Star Trek”, data la sua imperturbabilità, ecco che l’altra sera spiazza tutti mandando a carte 48 il Governo Di Maio-Salvini. Con il suo passo felpato, la sua facies sempre uguale, che non tradisce nessuna emozione, manda all’aria mesi di false trattative, falsi veti incrociati, falsissimo febbrile impegno dei due leaders dioscuri. Confesso di aver accolto con un sospiro di sollievo l’intemerata mattarelliana, poiché del tutto sgradita mi era l’ipotesi di una accozzaglia giallo verde, anzi russa, come l’insalatona che, se ci si abbuffa, procura una colossale indigestione.  Poi, però, ragionando su quanto accaduto con la dovuta lucidità, mi sono reso conto che Mattarella l’aveva fat grossa, precipitando il Paese nel baratro di una campagna elettorale infinita. A dire il vero, il Mato matto Mattarella le ha sbagliate proprio tutte, ha gestito malissimo questa grave crisi istituzionale, definita crisi di sistema. Ha interpretato in maniera estensiva l’art. 92 della Costituzione, attribuendosi una discrezionalità esagerata. E lo ha fatto in nome della difesa dei risparmiatori e della coesione europea, ufficializzando in questo modo quanto già risaputo, ossia che l’Italia è ostaggio dei poteri forti, della mostruosa concentrazione finanziaria intellettuale burocratica che governa l’Europa. La stabilità dei mercati è solo il paravento per nascondere il diktat della Ue, è la Troika il vero artefice dell’affondamento del governo Cinque Esse-Lega. Ora Mattarella affida l’incarico a Carlo Cottarelli, proprio per tranquillizzare la Ue. Ma non poteva passare la palla al governo tecnico per poi sciogliere le Camere molto prima?  Era evidente dal 4 marzo che non ci sarebbe stata nessuna possibilità di governo, che le forze politiche risultate maggioritarie avrebbero fatto melina, tutti sapevamo che quello che si stava tenendo era solo un patetico teatrino cui erano costretti ciascuno a vario titolo dal proprio ruolo. Ogni attore di questa tragifarsa stava recitando, come i litiganti televisivi al tribunale di Forum. Ora il popolo italiano è veramente stufo e i Cinque Stelle hanno buon gioco a gridare al Colpo di Stato. E non solo i Cinque Stelle, ma anche Fratelli d’Italia e alcuni senatori del Gruppo Misto vogliono l’impeachment. I mercati sono precipitati e la conseguenza di questa impasse è la volata dello spread, schizzato subito ben oltre i 200 punti, quella che viene definita la soglia critica di attenzione, per arrivare sopra i 300. Un finimondo! Ora come saranno tutelati i risparmiatori italiani? E che succederà se, a causa dell’aumento dello spread, saliranno tutti gli interessi, come già sta accadendo? Chi pagherà i mutui, le polizze,  su chi peseranno tutti i rincari che dobbiamo aspettarci se non sulle nostre spalle somaresche? Con chi ce la prenderemo se le agenzie internazionali taglieranno il rating e saremo declassati al livello della Grecia? Bel risultato, il pateracchio mattarelliano. Ohi!!

A dirla tutta, Di Maio e Salvini hanno tirato troppo la corda. Ad un certo punto, hanno dimenticato che stavano recitando, si sono calati troppo nella parte. E l’irritualità di questa fase deve aver irritato non poco Mattarella, uomo della prima Repubblica, così come certe modalità troppo beceromoderne quali le gazebarie della Lega e il referendum on line dei Cinque Esse sul contratto di Governo. E lui, l’altra sera,  ha deciso di buttar via aplomb, imparzialità, buone maniere, grigio rigore, e il governo dei populisti che già gli stava sulle balle. C’è chi giura di aver sentito nelle stanze del Quirinale il fantasma di Cossiga esultare e chi riferisce che lo stesso Napolitano dall’ospedale in cui è ricoverato abbia chiamato il collega per complimentarsi e per passargli lo scettro che si è guadagnato sul campo. Da re Giorgio e re Sergio. Mattarella si è assunto una responsabilità troppo grande rendendo evidente la sudditanza dell’Italia a Francoforte.  Ora, scrive certa stampa, la democrazia sembra davvero un bluff, l’Italia un paese a sovranità limitata. L’è tutto da rifare.

Maggio 2018

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Il guazzabuglio

Che pagliacciata. Alla fine il governo pateracchio si è fatto. “Gigino Gigetto stanno sul tetto, vola Gigino, vola Gigetto, torna Gigino, torna Gigetto!” E Gigino e Gigetto, ovvero il Cretinetti di Pomigliano, “Giggino” Di Maio, e il Bauscia Matteo Salvini, hanno deciso di giocare l’ultima carta, quella della disperazione, e dopo tre mesi di estenuanti trattative, tipo “oggi le comiche”, hanno deciso che basta giocare, si sono divertiti a sufficienza, ed ora è tempo di governare. Quindi, scesi dal tetto di Palazzo Chigi, dove Gigetto Matteo ama scaricare la tensione col parkour, mentre Gigino “Giggino” lo riprende, i due bimbiminkia  hanno trovato il filo di una impossibile convergenza parallela.  Togli Savona metti Savona, prendi Cottarelli togli Cottarelli, sposta Conte riprendi Conte, togli Mattarella rimetti Mattarella. Ma sono proprio Italieni!  E se la squadra di governo non va bene ai boiardi europei, ecco il niet mattarelliano. E la Meloni e Fratelli d’Italia? Prima entra nel governo, poi no, ma vota la fiducia, anzi non vota nemmeno la fiducia, astensione, anzi opposizione! Ma siccome la sindrome da accerchiamento contagia tutti, ecco che lo stesso Mattarella si rimangia il suo no, alla Troika europea fa sapere “non possumus, non debemus, non volumus”, come disse il Papa Pio VII a Napoleone che voleva prendersi lo Stato Pontificio, e dà il via libera al governo papocchio che poche ore prima aveva bocciato. Viene riesumato il Signor Nessuno Conte, dalle stelle alle stalle e ritorno, il tempo di uscire dalla naftalina ed eccolo pronto a varare il nuovo inciucio grillin leghista.  Di Maio ha capito che questa sarebbe stata l’ultima occasione per lui, così ha messo nell’angolo Salvini, il quale, da celodurista che era, si è fatto infinocchiare dal giovane ex disoccupato pentastellato e, non potendo più tirarsi indietro, non trovando vie di fuga, yahoo answer non gli rispondeva, ha dovuto mandar giù la melassa, anzi la macedonia avariata del guazzabuglio.  Trending topic: #andiamoagovernare!  SPQR: “siamo proprio quasi rovinati”, parafrasano sarcasticamente il noto motto latino alcuni romani; io toglierei il quasi, siamo rovinati, anzi siamo nella merda!

Giugno 2018

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