di Paolo Vincenti
Ora anche l’oltraggio da parte dei Brigatisti Rossi, protagonisti di una stagione sanguinaria e terribile della storia d’Italia del Novecento. Mi riferisco alle dichiarazioni di Barbara Balzerani sul “mestiere della vittima”. L’ex Br, in occasione del quarantesimo anniversario della strage di Via Fani, ospitata presso il Centro Sociale Cpa di Firenze, ha pronunciato delle frasi deliranti riportate da tutti i media. Con estremo cinismo e in spregio ad ogni opportunità, la Balzerani ha farneticato che ormai quello della vittima delle stragi è diventato un mestiere. Anche quest’anno tutti gli ex Brigatisti Rossi sono stati invitati in tv ad esporre la loro versione dei fatti, oppure sono stati intervistati dai siti on line senza alcun contraddittorio. La Balzerani non si è mai pentita né dissociata da quella militanza. Nei suoi post su Facebook è irridente, sprezzante, lascia intendere non soltanto di essere fiera del proprio passato ma pure che rifarebbe tutto. Leggete in rete lo scambio di battute fra lei ed un altro ex Br, Raimondo Etro, il quale, essendosi invece pentito, redarguisce pesantemente la terrorista per le sue affermazioni poco rispettose. Ma non tutti gli ex Br purtroppo sono come lui, anzi Etro è un’eccezione. La Balzerani, ex “Primula Rossa”, rivendica al pari di tanti colleghi la scelta di campo. Ora, io dico, uno può rivendicare quello che vuole, ma trovo semplicemente vergognoso che a questi criminali venga offerta tanta visibilità e che essi vengano ospitati ai convegni dove presentano anche i loro libri, come ha fatto la Balzerani al centro sociale di Firenze. È vero semmai il contrario di quanto affermato dalla terrorista, perché sono stati gli ex Br che in tutti questi anni hanno tratto beneficio dalla loro posizione per costruirsi fortunate carriere. Pur scontando la loro pena, essi hanno ricavato grande vantaggio da quella esperienza della loro gioventù. Pensiamo solo a Renato Curcio, osannato e riverito da certa sinistra come grande intellettuale. “Vite riciclate che puzzano ancora di morte”, scrive Libero del 21 marzo 2018, “Dopo aver commesso tante ignominie con le mani, dovrebbero avere almeno la decenza di chiudere le bocche. E invece ce li ritroviamo ancora qui a blaterare”. A conferma di quanto affermato sopra, “Il Secolo D’Italia” on line, a proposito degli ex Br, nell’articolo intitolato “Via Fani, la bella vita dei brigatisti rossi mai pentiti: spiagge, ristoranti e libertà”, scrive:
“Mario Moretti, sei ergastoli, vive a Torino, aiuta gli altri detenuti a stare in cella ma soprattutto aiuta sé stesso a uscirne la mattina, avendo strappato da tempo il regime di semilibertà grazie a un comportamento ligio e gentile. In via Mario Fani, trentasette anni fa, quando furono uccisi cinque agenti e rapito Aldo Moro, Moretti si era mostrato appena appena più ruvido: lui era l’ideologo, il regista sul campo, l’esecutore materiale. Arrestato a Milano il 4 aprile 1981, dopo nove anni di clandestinità, Moretti nel 1987 ammise pubblicamente il fallimento della lotta armata pur senza mai dissociarsi né collaborare con gli inquirenti; anzi, quando nel luglio del 1997 ottenne la semilibertà, i giudici sottolinearono che il brigatista rosso “continua ad avere un atteggiamento altero” e “solo a tratti” ha dato la sensazione di “provare compassione” per il dolore causato alle vittime.
Anche Valerio Morucci, 37 anni fa, era in Via Fani, considerato il numero due di quello squadrone della morte che aveva dagli undici ai diciannove elementi: venne arrestato nel 1979 e condannato a diversi ergastoli, oggi è libero ma non è che sia poi così pentito. Nel 1985, durante il processo d’appello per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, si dissociò ufficialmente dalla lotta armata. Fu scarcerato nel 1994. Attualmente vive a Roma, dove lavora come consulente informatico. Nel 2008, giusto per farsi un’idea sul pentimento di questo ex Br, un articolo del quotidiano francese Le Monde titolò: «Valerio Morucci, brigatista “senza rimorsi”». Raffaele Fiore, invece, in via Fani, oltre a sparare e a uccidere, insieme a Mario Moretti estrasse dall’auto Aldo Moro e lo trasferì sulla Fiat 132 blu pronta a partire per il covo di via Montalcini. Dopo svariati omicidi, concluse la sua carriera criminale il 19 marzo 1979 quando venne catturato a Torino e condannato all’ergastolo. Non si è mai pentito e dal 1997 gode della libertà condizionale, confermata nel 2007. Franco Bonisoli fu invece quello che uccise, in strada, l’unico agente che riuscì a reagire: il 1º ottobre 1978 fu condannato all’ergastolo nel processo romano Moro-Uno, nel 1983 si dissociò e attualmente fruisce di un regime di semilibertà. […]
Ma la lista dei brigatisti che a vario titolo sono stati indicati come membri del commando di via Fani sarebbe lunga. Ci sarebbe Alvaro Lojacono, cittadinanza italiana e svizzera, coinvolto anche nell’omicidio di Mikis Mantakas,autore anche dell’omicidio del giudice Tartaglione, che in Svizzera ha scontato solo 11 anni ed è uscito per buona condotta, nonostante una condanna della giustizia italiana all’ergastolo ed è da anni libero. Su Alessio Casimirri, latitante in Nicaragua e titolare a Managua prima del ristorante Magica Roma e poi della La cueva del Buzo (il covo del sub) perfino il Pd oggi, s’è mosso per chiedere iniziative del governo sul fronte dell’estradizione. Ma non servirà a nulla. E gli altri? Qualcuno è morto, come Prospero Gallinari, tanti sono liberi, Annalaura Braghetti, l’affittuaria della prigione di via Montalcini, si occupa di informatica, Adriana Faranda fa la fotografa, l’ideologo delle Br Renato Curcio, che non ebbe però un ruolo diretto in via Fani perché già in carcere, tiene lezioni all’università come intellettuale.”
Che strano Paese l’Italia, dove tutti hanno diritto di parola. Si potrebbe dire, “è la democrazia bellezza”, parafrasando la celebre battuta di Humphrey Bogart sulla stampa. Vero, ma una democrazia che dà spazio a certa gente, è un pochino malata.