Per amica silentia

di Luigi Scorrano

La poesia talvolta dona, a chi la legge, un brivido di felicità che nasce da un’immagine inattesa, da una parola collocata in una impensata giacitura nel verso, da un passaggio che altri ne riporta alla memoria e ne fa riassaporare la forza o la dolcezza. Sono, queste, occasioni particolari della poesia: giungono impensate al cuore, svettano lucide sopra un folto di versi non opachi  ma consueti; cantano con melodie streganti, con voce chiara le cui modulazioni sono, e restano, inconfondibili. Nascono in questo clima i versi memorabili consegnati a un tempo che sembra inconsumabile e resistono ad ogni assalto: non conoscono età che non sia quella che essi contrassegnano con un marchio di garanzia del quale essi soltanto hanno lo stampo originario. Si esprima, in uno di quei lacerti miracolosi, dolore o gioia, pienezza di appagamento o delusione d’una perdita; vi si esprima la vita consegnata a una memoria che, nata individuale diventa collettiva, parte di un patrimonio che, destinato a uno si divide tra molti senza correre il rischio di sciuparlo o di disperderlo, di dilapidarlo; si esprima tutto questo, o una parte, un soffio lieve, un sospiro, sempre ne nasce un esito di leggerezza, un sentore di miracolo. Potere della parola, che in un’atmosfera purissima rifiata e arricchisce le proprie possibilità espressive, sa cogliere l’angolo in cui rifugiarsi se derisa: un angolo di silenzio!

Il silenzio … pausa del respiro, tregua nell’assordante colonna sonora della vita quotidiana attraversata dal rumore incessante delle macchine, delle parole inutili, delle musiche sgraziate, dell’imbonimento perpetuo della pubblicità menzognera, delle  mille altre forme di superficialità promosse al certificato di necessità, al riconoscimento di una presunta indispensabilità. Il silenzio combatte contro i falsi beni costituiti da tutto ciò che rientra nel suono audace o superbo di un passo che il piede fa risuonare con la pretesa che in esso s’avverta un principio di autorità. Per amica silentia lunae … Dolcezza del silenzio, che promuove la confidenza, la parola lenta non attempata, tenera e distesa, aperta alla comunicazione senza stridore, comunione – e si vuol dare alla parola un senso sacro – come la sentì un poeta umbratile nell’apparenza del suo dire, di spiriti profondi nel cogliere amarezze e dolcezze della vita; dolcezza che non evita l’amaro calice, canta le chiesette suburbane, s’adagia teneramente nella melodia espressa dagli strumenti provenienti da una città cara, si specchia interrogativamente su un’acqua misteriosa, ha il privilegio triste di assaporare frutti meravigliosi … Ma il silenzio! Ci sono, nel silenzio, momenti ineffabili; lo ha sentito il delicato poeta appena ricordato, Sergio Corazzini: “Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù. “

Mistero sacro, mistero profano: inaspettati legami forse possono nascere, in tempi diversi, dal silenzio: occorre mettersi in ascolto, come un Carducci che invita a tendere l’orecchio: “Da’ verdi paschi dove Bianore dorme non odi / la voce di Virgilio?” Ecco, Virgilio! e ci si riannoda alla sua poesia per cammini apparentemente tortuosi ma che ci riannodano, con un filo d’oro, alla ‘lunarità’ virgiliana e per essa al brivido lunare di ogni tempo, di ogni poesia: “La luna, quasi a mezzanotte tarda / facea le stelle a noi parer più rade”: ed è Dante; “Era la notte e il suo stellato velo /  chiaro spiegava e senza nube alcuna / e già spargea rai luminosi e gelo / di vive perle la sorgente luna. / L’innamorata donna iva col cielo /le sue fiamme sfogando ad una ad una, / e secretari del suo amore antico / fea i muti campi e quel silenzio amico”. Silenzio amico: quello nel quale un poeta pieno d’angoscia alla luna si rivolgeva in un’ardente interrogazione: “Che fai tu, luna, in ciel?” Una risposta s’attende ancora? Intanto si può tornare sul profondo brivido che quel frammento poetico inconsumabilmente produce.

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