È un imbroglio l’arte che non rappresenta la dignità umana

di Antonio Errico

Tre mesi prima di morire, durante una conferenza ora pubblicata in un piccolo libro intitolato L’ultima lezione, Zygmunt Bauman disse che l’arte è resa assolutamente indispensabile dalla dualità di disperazione e speranza, che sono i suoi maggiori motori. Disse che la missione dell’arte nel mondo è quella di ispirare e spingere le persone a continuare il lungo viaggio verso l’idea di dignità umana, che consiste nella capacità di pensare, analizzare criticamente e andare nel profondo delle cose.

Poi disse che tutto questo per l’arte diventa possibile in quanto e fin quando riesce a rendere nuove le cose che ci sembrano ormai familiari, cose tanto evidenti da non farsi più notare. Ma l’arte che funziona riesce anche a rendere familiari le cose che sono o ci sembrano sconosciute, l’ignoto che si nasconde da qualche parte, difficile da vedere, occultato con grande attenzione o con malignità, coperto, negato o semplicemente troppo complesso per essere compreso senza un aiuto.

Arte. Disperazione. Speranza. Dignità umana. Rigenerazione delle cose intorno a noi. Disvelamento dell’ignoto. Discesa nelle profondità dei concetti, degli eventi, delle storie. Forse, probabilmente, il senso dell’arte è sempre stato questo, sarà per sempre questo.

Anche quando vengono tempi in cui le disperazioni si presentano come irrimediabili, assolute. Anche quando sembra che le speranze disertino i territori che attraversiamo, i pensieri che ci attraversano. Anche quando le cose intorno a noi, le piccole e le grandi cose, le ideologie, i sentimenti, le belle passioni, sembra che non abbiano nessuna possibilità di resurrezione. Anche quando ci rispecchiamo nella superba convinzione che nulla ci sia ignoto, che ogni colonna d’Ercole sia stata superata, o che se qualcosa d’ignoto ancora ci sia non ci riguarda. Anche quando la superficialità, l’apparenza, la genericità ci bastano. Anche quando accade tutto questo, il senso dell’arte resta sempre quello di una consolazione della disperazione, di una tensione alla speranza, di una realizzazione di condizioni di dignità. Resta l’ignoto che ci seduce, la profondità che ci richiama.

Si è detto della fine della storia, della fine dell’arte, del tempo, del mondo, dell’universo. Della fine di tutto. Nessuno può sapere se ci sarà un istante di luce o di buio indescrivibili, impensabili, in cui il tempo, il mondo, l’universo finiranno. Nessuna scienza riuscirà mai a saperlo. Potrei sbagliarmi, certo. Ma spero di no. La storia, però, non è mai finita e non finirà mai. L’arte non è mai finita e non finirà mai. Finchè esiterà un uomo, un uomo soltanto, esisterà la storia ed esisterà l’arte. L’arte appartiene al nostro destino, e il nostro destino comprende la resistenza alla disperazione, l’affidamento alla speranza, il confronto con l’ignoto anche quando si ha consapevolezza che certe cose, quelle che riguardano il principio e la fine, le estremità, la vita e la morte, siano veramente inconoscibili. Il nostro destino comprende la lacerazione della superficie e la tentazione della profondità.

Il nostro destino comprende la realizzazione di una condizione di dignità: soggettiva, collettiva.

L’arte costituisce la rappresentazione della condizione di dignità. Non solo nei casi in cui proviene da luoghi di dolore, di miseria, di perdizione, ma anche, semplicemente, nelle situazioni in cui si pone come espressione di autenticità dell’essere e si oppone al dilagare dell’inautentico, del superficiale.

E’ per questa ragione che non si può tollerare una pittura, una musica, una poesia che s’insabbino nell’artificio, nella maniera, nella ripetizione di forme e di formule, che non si può accettare la loro conformità all’opinione comune. L’arte deve disgregare l’opinione comune. Vecchia storia, in fondo. Però ci si potrebbe chiedere se resta sempre vecchia quando vengono tempi in cui il pensiero si appiattisce, si immiserisce, e l’opinione comune diventa inconfutabile verità. Ci si potrebbe chiedere se la rinuncia ad una ricerca della profondità e l’adesione a mode e modelli che si compongono soltanto di superficie costituisca una condizione di dignità. Se volessimo risponderci di sì, allora tutto va perfettamente. Se dovessimo risponderci che invece no, che non va affatto bene, che non è dignitoso, non è rispettoso di sé, pensare esattamente quello che pensano tutti, dire sempre quello che dicono tutti nel modo in cui lo dicono tutti, ammassarsi nei gruppi, allora si dovrebbe cercare una via di fuga, elaborare un altro pensiero, costruire un diverso linguaggio. Forse la via di fuga, l’altro pensiero, il diverso linguaggio si possono trovare soltanto nell’arte. Forse una consolazione alla disperazione del nostro essere soli in mezzo alle folle, la possiamo cercare soltanto nell’arte. Forse all’arte possiamo rivolgerci per una speranza di autenticità.

Probabilmente esiste una relazione strutturale fra autenticità e dignità. Una interdipendenza, una reciprocità, o comunque una costante tendenza alla prossimità. In un’opera di poesia, di musica, di pittura, di cinema, di teatro, convergono e si accendono prevalentemente domande o conferme o testimonianze di autentica dignità.

Ora noi abitiamo una civiltà di straordinaria, stupenda, umana dignità. Ma non comunque, non dappertutto. Ci sono luoghi in cui la disumanità del sopruso azzanna le esistenze, le coscienze. E’ in quei luoghi che l’arte fa esplodere il suo senso essenziale. Non c’è nulla di antico, nulla che possa dirsi definitivamente superato. Non c’è nulla di lontano. Tutto accade sempre intorno a noi. In quella condizione che chiamiamo di globalità, tutto accade sempre intorno a noi. La tragedia e la commedia del mondo ci coinvolgono, inevitabilmente. Non c’è nulla di antico, oppure tutto appartiene all’antico, perché la storia si ripete, si ripete all’infinito. Antichi sono, dunque, anche quelli che Bauman chiama i maggiori motori dell’arte: la disperazione e la speranza.

Ma se l’arte manca di questi due motori, allora non è altro che un artificio, un imbroglio.

Tutto accade sempre intorno a noi. Anche l’arte che racconta il lungo viaggio verso l’idea di umana dignità. Anche l’arte che imbroglia. Basta soltanto saper distinguere, per poter scegliere. Con un pensiero di dignità.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 18 febbraio 2018]

 

 

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