di Ferdinando Boero
Tomaso Patarnello è nato e cresciuto a Lecce, si è trasferito a Padova per laurearsi in Biologia, e ci è rimasto. Ora è pro rettore di quell’Università, ma il cordone ombelicale che lo lega a Lecce non si è staccato e non si staccherà mai. Lo mantiene anche scrivendo per il “Quotidiano”. Nel suo ultimo articolo, Tomaso parla dei grandi finanziamenti arrivati al sud. Confermo. Soldi per costruire … finché se ne vuole. Gestire appalti è l’incombenza più comune per chi governa un’Università. Quegli edifici, nel mondo della ricerca, dovrebbero “fruttare” in termini di produzione scientifica. La ricerca non la fanno i laboratori e le macchine. La fanno le persone. E se si danno magnifici laboratori e magnifiche macchine a chi non è in grado di farli “rendere”, non cambia niente. Lecce ha forte attrattività: la gente “valida” vuole vivere in un posto piacevole, dove il proprio stipendio vale tanto. Comprare una casa a Lecce conviene rispetto a Milano, o Napoli, o Roma. La qualità della vita è nettamente superiore. Quel che c’è attorno, in termini di paesaggio rurale e marino, è di primissima qualità. Si mangia bene e i leccesi sono persone bellissime. Da Brindisi, in aereo, si raggiunge il resto del mondo con un’ora di volo in più (quella che porta a Roma). Ci sono tutte le premesse per attirare persone eccellenti da tutto il mondo. E non solo docenti. Pensate agli studenti. Trovano strutture adeguate, bei laboratori, una città accogliente, un territorio magnifico e un costo della vita che non ha paragoni con le principali città universitarie italiane. Quelle dove vanno molti studenti pugliesi.
Ma il valore di un’Università non si basa su infrastrutture e edifici. Si basa su chi ci insegna. I Dipartimenti di eccellenza di cui parla il pro rettore Patarnello sono quattro, in Puglia: uno per Università, rispettivamente a Bari, al Politecnico di Bari, a Foggia, e al Salento. E, come dice il pro rettore Patarnello, sono arrivati perché “dovevano” arrivare. Per la localizzazione delle sedi. Almeno uno per Università doveva arrivare. Il che significa che il Dipartimento eccellente è il meglio di quell’Università, ma non è detto che lo sia davvero a livello nazionale. Infatti le “promozioni” sono avvenute con punteggi ridicolmente bassi, assegnati ai progetti dei vari Dipartimenti. Ancora una volta assistenzialismo. Una politica che non ha dato buoni frutti sino ad ora, una politica che ha incentivato il clientelismo accademico.
In una recente lettera pubblicata dal “Corriere della Sera” si parla dell’Università del Salento come l’Università in cui altri Atenei fanno “acquisti” a causa delle ristrettezze di bilancio. È vero, le altre Università stanno offrendo opportunità a docenti della nostra Università e questi le colgono, ma non per il bilancio. L’offerta delle Università che chiamano è questa: sei stato abilitato a professore ordinario ma la tua Università non ti chiama e se resti lì il tuo destino è di restare associato? Vieni qui, noi ti offriamo il posto da ordinario. Magari è stato il lavoro di quell’associato, i suoi risultati, che ha permesso al Dipartimento di diventare di eccellenza ma, con i fondi che arrivano grazie ai suoi risultati, si chiamano altri (che non hanno contribuito al risultato di eccellenza). Lui (o lei) no. Le altre Università, quelle che vogliono incrementare l’eccellenza, si guardano attorno e “chiamano”. Di solito chi va via ha persino osato far presente il valore dei propri risultati e l’assurdità delle divisioni a pioggia (i fondi dell’eccellenza vengono spartiti senza tener conto di chi vi ha contribuito) e questo gli ha inimicato i miracolati: la sua dipartita viene vista come una liberazione: ponti d’oro a chi se ne va.
Nelle Università che “colonizzano” Università più deboli, chi va via continua a frequentare il Dipartimento di provenienza. Fa il “pendolare”. Magari si cerca di farlo tornare. Quanti ne ho visti arrivare a Lecce, venire poco, e tornarsene a “casa” dopo qualche anno di esilio. I rompiscatole che se ne vanno, invece, vorrebbero continuare a frequentare il Dipartimento, dove magari hanno fondato una scuola, dove ci sono giovani promettenti, dove hanno ancora progetti. Spesso e volentieri, invece, l’espulsione è totale, e si cerca di distruggere tutto quello che hanno creato. Fuori dai piedi!
I Dipartimenti di eccellenza segnano oramai in modo inequivocabile la serie A e la serie B del sistema universitario. E la responsabilità delle posizioni è totalmente delle Università, dipende dalla loro politica di valorizzazione del merito. L’Università del mio amico e collega Tomaso è in cima alla lista perché ha fatto una certa politica. Genova, la mia Università di provenienza, ha solo due Dipartimenti di eccellenza. È al nord, ma ha un risultato da sud, perché ha portato avanti una politica che non ha valorizzato l’eccellenza. Chi è andato via non è stato chiamato indietro. Così i rompiscatole si sono tirati su le maniche e hanno cercato di costruire qualcosa dove sono stati catapultati, e Genova è andata indietro. Sempre di più. Ma le esperienze degli altri non servono. Ognuno deve fare le proprie. Chi può se ne va da realtà che non “capiscono”. Non amo particolarmente i proverbi, ma in questo caso ce n’è uno adatto: chi è causa del suo mal pianga se stesso. E non dia la colpa agli altri, aggiungo. Se, nonostante gli enormi investimenti, il sud è nelle condizioni in cui è, e molti “cervelli” del sud sono al nord, di chi sarà la colpa? Del nord che ha aperto le porte alle persone valide, o del sud che le ha espulse? E questo vale anche per il paese intero e per gli elementi validi che trovano collocazione all’estero, perché i “posti” offerti dal nord non sono comunque sufficienti a collocare tutti gli ottimi elementi che il sistema produce e che il paese non valorizza. Regalandoli agli altri. I responsabili di queste scelte saranno mai chiamati a renderne conto? Un sistema che espelle i migliori è destinato al fallimento.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di giovedì 25 gennaio 2018]