Tra la scrittura in versi e quella in prosa di Giovanni Bernardini c’è sempre stato uno stretto rapporto, sia per la presenza di alcuni temi in comune sia per il carattere discorsivo, prosastico della poesia che non è mai venuto meno nel corso degli anni. Anche quest’ultima raccolta, Nel buio la Parola, divisa in cinque sezioni, si ricollega, per evidenti affinità tematiche e ideologiche, al volumetto in prosa immediatamente precedente, Il Vecchio e l’Ombra (Dialoghetti) (2016). Qui, in venti capitoletti in forma di dialogo, Bernardini aveva esposto la sua “visione negativa” dell’esistenza umana, ispirata, come confessa egli stesso, a certi libri dell’Antico Testamento, ai tragici greci, all’amato Leopardi e ad altri pensatori più recenti, come il filosofo romeno E. M. Cioran. In un dialoghetto si definisce un “agnostico” che non possiede certezze “né di credente, né di ateo”, preferendo non pronunciarsi “dinanzi al mistero che avvolge tutto l’esistente”.
In queste poesie egli prosegue nelle sue riflessioni esistenziali, affrontando apertamente e con coraggio le cosiddette “questioni ultime”: la morte, la vecchiaia, la solitudine, il senso della vita. Il suo pessimismo ora si accentua e sfocia quasi nel nichilismo. Non a caso, termini ricorrenti, quasi parole-chiave del libro, sono “buio” (anche nel titolo), “nero”, “ombra”, “notte”. Da qui il tono piuttosto cupo, nel suo complesso, della raccolta, che viene alleggerito a tratti dalle osservazioni ironiche e autoironiche presenti in certe poesie e dalla capacità, che emerge in altre, di rievocare figure e momenti del passato.
Nella prima sezione, I Salici, prevalgono nettamente i temi esistenziali, come il senso di precarietà che cresce col passare degli anni (Introvabile), la fine delle speranze e delle illusioni (Inganni), la paura che aggredisce all’improvviso, come una bestia feroce (La Paura), i presagi della fine (Oscuri timori), il desiderio di quiete (Venti), il tempo che scorre inesorabilmente (I Salici). A volte, emergono immagini oniriche, inquietanti, come in Finale, dove negli ultimi versi sembra di scorgere un’allusione alla tentazione del suicidio, o ancora descrizioni di veri e propri incubi, come nella poesia Il Nitrito, con l’apparizione di un cavallo “altissimo immenso / fatto solo di testa crinita” che “spaventosamente nitriva”.
Nella seconda sezione, Il Niente, affiora, come nella poesia omonima, il tema del nichilismo che trova la sua antica fonte nel Qohélet, e giunge fino alla poesia filosofica in dialetto magliese di Nicola G. De Donno:
A furia di parlare
uno si stanca
né altro può aggiungere
se non che tutto
è niente. Niente di niente
Anche qui ritornano alcuni temi come quello della precarietà esistenziale con l’immagine topica della “foglia morta”, che dalla Bibbia arriva fino a Ungaretti (Foglia morta), quello della solitudine, “non iocundissima”, come in Petrarca (L’ora più nera), o, ancora, del mistero dell’universo (i “segreti d’un Dio / che si nasconde / celando i suoi misteri”, Schegge cosmiche).
Ma già qui questa riflessione si alterna con la rievocazione di figure a lui care, come quella della moglie scomparsa, la compagna di tutta una vita, con la quale perdura un dialogo che va oltre la morte:
Cammino con te
nella tenebra notturna
in silenzio
tra sospiri confusi affannati
cammino con te
ingoiata dall’altrove
…
Cammino con te
nel buio
per ritrovarti
(Con te).
Oppure quella di una giovane poetessa leccese, Claudia Ruggeri, alla quale è dedicato anche uno dei dialoghetti del libro precedente. In questa tragica figura, che morì suicida gettandosi dal balcone di casa, dopo aver scoperto “il nulla / della poesia della vita”, Bernardini sembra quasi rispecchiare la propria inquietudine esistenziale. Di essa riesce a dare un ritratto di forte intensità, descrivendone sia l’aspetto esteriore, di fulgida bellezza, che “l’interiore tormento” (il suo “inferno minore”, che è anche il titolo di una sua raccolta):
Al di là stava il nulla
della poesia della vita
E una notte d’ottobre
Spiccasti il volo
Verso le stelle
Ma le stelle lassù
videro indifferenti
l’epilogo amaro
del tuo breve passaggio.
E in questi ultimi versi è evidente l’immagine leopardiana della natura matrigna, indifferente a ciò che succede agli uomini sulla terra.
Nella terza sezione, Le Decisioni, lo sguardo del poeta si allarga alla storia, in particolare al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, causa di tanti lutti e rovine, che coincide anche con la fine della sua giovinezza. Anche qui emergono allora ricordi di persone incontrate in quel drammatico periodo, come una giovane prostituta che gli dà ospitalità senza chiedergli niente in cambio e della quale gli resta impressa una foto di bambina appoggiata sul comodino:
Mi dette da mangiare
e da bere
Dormii nel suo letto
sonno pesante
sfinito di fughe e fatiche
Potevo essere partigiano
oppure fascista
Poteva farmi uccidere
o denunciarmi
Ma teneva una foto
di bambina sul comodino
(Foto)
Ma non mancano, come sempre in Bernardini, le osservazioni su vari aspetti della realtà odierna, innanzitutto sulle guerre che sono una costante dell’umanità anche perché la Storia, sostiene il poeta, sembra non insegnare niente all’uomo, al contrario di quello che si dice (Autocitazione 3), ma anche sulle sciagure quotidiane (Castigo), sull’egoismo che è così connaturato alla razza umana (La Ginestra).
La quarta sezione, Il Coccodrillo, è contrassegnata dal tono ironico presente anche in altre opere di Bernardini (si pensi alle prosette de Il bivio e le parole, del 1989). Ecco allora le osservazioni, a volte ironicamente amare, a volte paradossali, sulle dichiarazioni di un politico italo-americano riguardo alla convenienza, di tipo puramente economico, dell’ergastolo rispetto alle condanne a morte (Risparmio), sulla scelta della cremazione rispetto alla sepoltura tradizionale (Cremazione), sul costo eccessivo dell’acqua (L’Acqua), sulla mafia che ha i suoi riti proprio come una religione (Religione), sull’inquinamento che rischia di trasformare il nostro pianeta in “sepolcro del genere umano” (21 dicembre 2015), sui tanti problemi che affliggono la società e che si contrappongono all’immagine edulcorata e falsa offerta dalla televisione (Natale).
Ma sono presenti anche osservazioni autoironiche, piuttosto frequenti nella produzione di Bernardini, come quando si definisce “rinsecchito … /e spelacchiato / come un cane / di Diogene” (Invito) o come quando avverte i lettori che apprenderanno improvvisamente della sua morte sul necrologio che apparirà il giorno dopo sulla stampa locale (Il coccodrillo). Alcune composizioni, ancora, affrontano il tema della scrittura, che per Bernardini è “un modo d’affrontare / il male di vivere”, quasi una maniera di esorcizzare la morte (Scrivere?), e svolge quindi una funzione terapeutica.
Nella quinta sezione, Via Imbriani 42, il poeta si abbandona ai ricordi, che allentano momentaneamente la morsa dell’angoscia, pure presente in alcune composizioni (Andarsene, Autocitazione 4, La Campana, Sotto l’ombra). Ecco allora la rievocazione di alcuni momenti felici della sua infanzia (Ravenna), della vecchia dimora, ormai distrutta (Antica casa, dove emerge il motivo dell’ubi sunt), dei giochi di ragazzi (Nei cortiletti), delle prime letture, come quella dei fascicoli di Buffalo Bill, diventato ora un eroe perdente in cui egli sembra identificarsi (Buffalo Bill). Ma tutte le tappe della vita sono ripassate dal vecchio poeta: la “sfavillante giovinezza” e il tempo dell’innamoramento (Nel battito del cuore, dedicata ancora alla moglie), la luna di miele (Desiderio), la piena maturità (Via Imbriani 42). Quasi sempre il passato, con la sua pienezza vitale, è contrapposto al triste presente, che ora è più che mai “vuota realtà” (Desiderio).
Anche negli ultimi versi di Via Imbriani 42, la composizione più felice della raccolta, una sorta di malinconica ballata del tempo che fu, c’è il riferimento al presente che ha mutato l’aspetto del “vecchio palazzo”, dove il poeta e la sua famiglia hanno abitato in anni ormai lontani, diventato ormai “corpo di cementarmato senz’anima”. Ma in questa poesia, che riprende il tema della via cara al poeta, sviluppato, ad esempio, da Umberto Saba e Vittorio Bodini, egli evoca efficacemente anche l’atmosfera di un periodo indimenticabile, quello delle “lotte culturali e politiche” degli anni Cinquanta-Sessanta, che lo videro impegnato insieme ad altri intellettuali salentini, riuniti attorno alla rivista “Il campo”. Nei versi centrali compare la figura del dirimpettaio, un “amico poeta / appassionato dei simbolisti francesi” che non è difficile identificare nel poeta e traduttore leccese Vittorio Pagano, del quale Bernardini riesce a delineare in pochi versi la singolare, bizzarra personalità:
Dirimpettaio un amico poeta
appassionato dei simbolisti francesi
Scriveva versi assai musicali
Me ne sfuggiva il senso
e lui s’adirava alla richiesta
di spiegazioni Beveva alcolici
fumava maledettamente
Vagava per la città stralunato
a incontrare puttane
Dallo studio ne udivo i litigi
con la moglie Parole gridate
a cui sommessa rispondeva la donna
Morto di cancro ai polmoni
La maggior parte delle poesie comprese nella raccolta sono accomunate dalla presenza di una citazione, di uno scrittore o di un pensatore, italiano o straniero, antico o moderno. Non a caso, come epigrafe, Bernardini sceglie alcuni righi di Edmond Jabès che stanno a indicare la funzione totalizzante che svolge l’esperienza della lettura per chi si accosta al “libro” con l’animo aperto e desideroso di conoscere e di conoscersi meglio. Ma non si tratta, quasi mai, di un gioco fine a sé stesso, di carattere puramente formale. Le citazioni sono talvolta lo spunto iniziale per una composizione o servono per confermare quasi, con il riferimento a una indiscussa auctoritas, la validità di certe riflessioni.
A volte la ripresa di un verso o del titolo di un’opera è esplicita e viene messa in corsivo. È il caso dei versi di Foscolo (“discende un clivo onde nessun risale”, La Tromba), di Pascoli (“quest’atomo opaco del male”, Castigo), di Gozzano (“le buone cose di pessimo gusto”, Antica casa), di un poeta contemporaneo, come Mario Lunetta (“e le foglie sono piene di lacrime”, 21 dicembre 2015). Ma non mancano nemmeno una citazione greca, di Eraclito (“πάντα ρέι”, L’ora più nera), e una latina, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio (“Orbe pererrato (quis enim deprendere possit furta Iovis?”), Schegge cosmiche), come pure quella del secondo verso del famoso indovinello veronese (“Alba pratalia araba”, Bianche pianure), del terribile comando “Wstawać” (in italiano “alzarsi”), tratto da La tregua di Primo Levi (nella poesia omonima), o di una vecchia canzone degli anni Trenta (“Dormivi in mezzo al grano”, Nel battito del cuore). A volte, all’interno delle poesie, sono citati anche titoli di opere (La bella estate di Cesare Pavese e Toi et moi di Paul Géraldy, in Vacanza, inferno minore di Claudia Ruggeri, in Il volo, De consolatione philosophiae di Boezio, in Ravenna), mentre si allude al titolo di un famoso romanzo di Hemingway, Per chi suona la campana, in La campana o alla commedia di Thornton Wilder, Piccola città, in Finale. In Notturno c’è un riferimento al Libro di Giona della Bibbia (“navigando l’Oceano / nel ventre della Balena”), mentre ne La Ginestra è nominato l’ovvio ispiratore. In un caso, il riecheggiamento petrarchesco è volutamente modificato e reso funzionale al proprio pensiero: “in solitudo / non iocundissima” (L’ora più nera ).
Altre volte le riprese di versi o emistichi, anche se non messi in corsivo, sono facilmente riconoscibili. Ecco allora la similitudine di Orazio “come un porco del gregge d’Epicuro” (Invito), il sintagma dantesco “selva oscura” (La Lupa), il “Laudato si’” di San Francesco, nonché di Papa Francesco (L’Acqua), lo shakespeariano “a meditare sull’essere / o non essere” (Voli), il foscoliano “ultima dea” (Introvabile), i leopardiani “ameni inganni” (Inganni) e “magnifiche sorti” (21 dicembre 2015) o, ancora, il montaliano “male di vivere” (Scrivere?). Non manca nemmeno qualche calco bodiniano, come “di bestia macellata” (Un volo di corvi) e “Esco come numero / dal dado” (Il Sole). Ma non ci sono solo riprese di testi letterari. A volte compaiono anche frasi tratte da discorsi di politici, del passato (le drammatiche “decisioni irrevocabili” di Benito Mussolini, Le Decisioni), e del presente, come Mario Cuomo (Risparmio) o da scritti di giornalisti, come Tiziano Terzani (Cremazione) e di critici letterari come Giorgio Barberi Squarotti (Lingua), tutti esplicitamente indicati. Non mancano nemmeno autocitazioni di titoli di racconti (“profumo dei gelsomini”, Con te) o di titoli e versi di vecchie poesie (“Scesi nella terra di Amleto”, Voli; “Tacciono gli amici poeti”, Autocitazione 4).
Più celati sono i riferimenti che si possono scorgere in altre composizioni, come quelli a Paul Verlaine (“i lunghi singhiozzi / … / dai violini lontani / d’autunno”, I Salici), Leonardo Sinisgalli (“i centesimi scagliati contro il muro”, Nei cortiletti), Salvatore Quasimodo (“le foglie / tremule dei salici”, I Salici), mentre restano sconosciuti al lettore quelli di altri poeti contemporanei letti da Bernardini in traduzione italiana su riviste letterarie di oggi, come egli stesso dichiara nell’Avvertenza.
Ma nel libro c’è pure, per così dire, una “citazione” di carattere tecnico-formale. Tutte queste composizioni, infatti, sono caratterizzate dall’assenza della punteggiatura che può essere un (inconscio?) richiamo a certa avanguardia poetica primonovecentesca, più ungarettiana ovviamente che futurista, e conferma in fondo quello che in un’altra occasione ci è capitato di definire il “moderato sperimentalismo” di Bernardini.
[Prefazione a Giovanni Bernardini, Nel buio la parola, Monteroni di Lecce, Edizioni
Esperidi, 2016).