di Antonio Prete

Pierre-Auguste Renoir, In barca sulla Senna (la Yole),1875, olio su tela, 71×92 cm, National Gallery, Londra.
Le dieci di sera, la luce di metà giugno indugia sulla Senna, il cielo di là dalle nuvole è chiaro, altre nuvole in fuga sopraggiungono, lampi d’argento laggiù, dove la cupola del Grand Palais traspare in mezzo al fogliame. Una sagoma nera passa controluce sul ponte di ferro : giorni, mesi, anni raccolti in quella figura che ora è già sull’altra riva. Le macchine, sul quai , scorrono veloci. Sotto il ponte il muso triste di un cane sporge dalla coperta in cui è avvolto insieme col suo padrone.
Voler separare le forme, che l’ultima luce accende di un’ irripetibile vibrazione, dalla polvere che milioni di sguardi vi hanno depositato sopra, è un esercizio vano : il tepore di tutti gli sguardi è filigrana dell’apparire, dunque appartiene anch’esso alla bellezza. Anche se più propriamente intendiamo per bellezza il legame tra il fuggitivo mostrarsi delle cose e la percezione unica, armoniosa, che il singolo può avere di questo loro apparire.
Un’altra velatura ha esteso la battaglia delle ombre sul fiume. Le forme affondano piano verso una grigia equivalenza. Ma la notte se ne sta ancora dietro le quinte, silenziosa, perplessa.