Inchiostri 143. La poesia del cemento (per Giuseppe Uncini)

di Antonio Devicienti

Spesso è vero che il cemento (il grigio cemento) è “brutto”, oppure “anonimo” o, anche, “alienante” – sfregio nel paesaggio, soffocante materia senz’anima, bruttante presenza nella contemporaneità urbanizzata, escludente e arrogante.

Ma Giuseppe Uncini intuisce che uno dei materiali – che per diverse (e controverse) ragioni esprime la nostra contemporaneità – proprio per questo dev’essere indagato nella sua bellezza e poesia, restituito a un senso profondo e illuminato di spazio, di costruzione, di ritmo della forma.

E l’opera di Uncini andrebbe invero meditata seguendo un duplice passo: il disegno e la sua realizzazione scultorea

………………………… è così che il pensiero-immaginazione dell’artista concepisce forme e aggregati di materiali che trovano una prima visibilità nel disegno-progetto che non esclude l’impiego di colori differenti, né le annotazioni scritte, né le diverse tecniche pittoriche (sarà ora la grafite su carta, ora l’acquerello, ora l’inchiostro, ora il carboncino); poi ecco intervenire il tondino di ferro, il legno, la corda e, ovviamente, il cemento da colare e sagomare in grandi lastre affinché l’idea-progetto diventi forma realizzata nello spazio.

Il cemento manipolato da Uncini trova così una sua inattesa nobiltà, come a inverare l’idea michelangiolesca secondo la quale l’artista dev’essere capace di vedere dentro la materia bruta la forma contenutavi per trarla alla luce.

Uncini realizza in tal modo una scultura che è, contemporaneamente, architettura, spazi in relazione dialettica con lo spazio che li contorna, spazi abitabili con lo sguardo e con l’intelletto, ma anche con le emozioni visto che il “brutto e freddo” cemento si rivela, invece, accogliente e portatore di senso.

È uno sguardo altro e non compromesso con la mentalità predatoria che domina l’economia contemporanea a condurre verso i cementi di Uncini, a svelarne le possibilità combinatorie e immaginifiche, i ritmi tra pesantezza e leggerezza, il dispiegarsi in forme geometriche che spesso sembrano volersi continuare nello spazio

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