di Antonio Prete
Nelle guerre in corso l’orrore, giorno dopo giorno, è addomesticato, reso tollerabile perché evocato come notizia tra le notizie, come accadimento quotidiano e usuale: la stessa parola guerra finirà con essere rubricata accanto a voci come borsa, sport, cronaca nera e di costume. Le tante testimonianze di reporter e giornalisti esposti al pericolo ci trascorrono dinanzi agli occhi, con la loro immensa gravità, senza che l’indignazione dal singolo si estenda alla moltitudine, senza che il sapere del dolore sconfinato si trasformi in un grido, senza che la conoscenza diventi denuncia assidua e corale delle responsabilità.
E anche laddove alcune parole potrebbero avere in sé una più adeguata corrispondenza alla sconfinata violenza messa in atto, si ricorre ad attenuazioni, a distinzioni, a rassicuranti comparazioni storiche: la parola genocidio, usata per indicare quel che accade a Gaza, è apparsa e continua ad apparire a molti impropria (anche se il Papa e alcune inchieste delle Nazioni unite l’hanno adoperata). Un’anestesia del tragico permette di non introdurre il turbamento e l’angoscia nel ritmo delle giornate e nelle quotidiane occupazioni.
Se nei decenni trascorsi alcune guerre provocavano tra intellettuali, scrittori, artisti, forti prese di posizione, appelli condivisi, analisi – penso a quel che accadde con la prima guerra del Golfo – ora l’indignazione non trova le vie di una sua rappresentazione diffusa. E persino le condanne emesse, su certificata e incontestabile documentazione, da una Corte internazionale di giustizia suscitano riserve, distinzioni, tentativi di neutralizzazione.
Grazie per questa riflessione lucida, accorata e circostanziata.
“Pacifismo” è termine ormai dileggiato, ma qui si dimostra come il pacifismo sia, al contrario, una postura chiaramente etica, storicamente e intellettualmente argomentata e, quindi, scomoda, testardamente intesa a combattere luoghi comuni, facili accomodamenti, pregiudizi, disinformazione, incultura.
La considerazione di Devicienti sul pacifismo ha oggi una sua forte urgenza. Perché davvero è in corso una grande rimozione di tutte le storiche prese di posizione sulla pace ( da Thomas Mann a Freud a Einstein) , per non dire di quelle filosofiche che muovono da Kant, oltre che ua storia bellissima di generazioni che dagli anni Sessanta ai Novanta sono state coinvolte in movimenti contro le guerre e i riarmi.
C’est avec gratitude, Antonio Prete, que je lis votre prise de position sans ambigüité pour une critique de la raison militaire.
En tant que citoyenne d’une “démocratie” dotée de l’arme nucléaire, dont le président s’apprête à augmenter le budget de la Défense d’un tiers d’ici 2030, sans susciter beaucoup de débats ni dans l’hémicycle, ni parmi la majorité des intellectuels, je partage totalement votre analyse, en particulier sur le lien pervers entre une économie fondée sur l’extension de la production industrielle d’armes et l’exercice de la démocratie.
Inversion des valeurs : le droit de se défendre se confond aujourd’hui avec le droit d’attaquer, se préparer à faire face à un conflit mondial “de haute intensité”, c’est malheureusement contribuer à le créer.
Merci à vous.
Merci pour votre partage. C’est vrai, en France comme en Italie et partout , augmenter le budget dans le bilan pour les armements est un désavantage déclaré pour les ressources qui doivent être assignés à la santé, à l’instruction, à la recherche. Et au fond il y a une vision qui est contre la singularité vivante de l’homme, contre une idée de società vraiment humaine.
Bonne Noël.