di Rosario Coluccia
Woke (letteralmente ‘sveglio’) è un aggettivo inglese con il quale ci si riferisce allo ‘stare allerta’, ‘stare sveglio’ nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. Con questo significato la voce si è diffusa nella lingua inglese nel 2017 attraverso il movimento attivista statunitense Black Lives Matter (letteralmente: ‘Le vite dei neri contano’) originatosi all’interno della comunità afroamericana, impegnato nella lotta contro il razzismo, specificamente quello diretto contro le persone nere. Black Lives Matter negli Stati Uniti d’America organizza manifestazioni per protestare contro la discriminazione razziale, la disuguaglianza del sistema giuridico, la brutalità della polizia. Il movimento è diventato mondialmente noto nel 2020, a seguito dell’omicidio di George Floyd avvenuto il 25 maggio di quell’anno nella città di Minneapolis, in Minnesota. Il filmato dell’arresto, in cui un agente di polizia tiene immobilizzato Floyd premendogli per quasi nove minuti il ginocchio sul collo, ebbe vasta diffusione nei media internazionali e portò a manifestazioni di protesta contro l’abuso di potere da parte della polizia. Ho rabbrividito vedendo le immagini girate da una passante, trasmesse da centinaia di reti televisive e visualizzate su milioni di telefonini, ma la conversazione avvenuta in quei terribili 8 minuti e 46 secondi in cui un omone enorme schiaccia con il suo ginocchio il collo di Floyd è ancora più atroce, se possibile. «I cant’ breathe» ‘non respiro’ ansima Floyd più volte. E l’agente di rimando, continuando a gravargli sul collo: «Basta parlare, basta urlare. Ci vuole un sacco di ossigeno per parlare».