di Antonio Devicienti
Era lavica rossa pittura Piazza Navona quei secoli lunghissimi e brevissimi in cui Scipione divorò la vita. Anche sulla Piazza ellittica e colonnata del Bernini e sulle mani rattrappite del Cardinal Decano turbinava il porpora della rivolta.
Immagina Roma sotto una colata densissima di lavico colore e il pittore al lavoro oppure la torre in Cosmedin ferma al passaggio dell’eclissi mentre sul Ponte gli angeli segnavento specchiavano l’alba sopravveniente nelle loro allucinate pupillle.
Così, nello sguardo e nel desiderio, fondò la città stratificata che taglia il vento e non dimentica nessuna luna né sabbia né conchiglie né rossi laterizi, ché il pittore discendeva nella sabbia nelle conchiglie e nei laterizi di San Clemente traversando i furori delle ere, di mitreo in mitreo e di basilica in basilica.
Lì, con soprassalto, forse udì il Nolano nobilmente gridare e vide i suoi aguzzini concepirne terrore, per cui stese di colori di merisiana visionarietà e di densissima scipionarietà turbinavano nel cielo e sulle verdure di Campo de’ Fiori. Rogo che ancora non s’estingue e andirivieni continuo tra ieri e oggi, tra oggi e ieri, così che di nuovo Roma aveva cieli violaporpora mentre il Ponte angeloforo livido riverberava come la Toledo del Greco.