Quei cantautori che raccontano le stagioni della nostra vita

di Antonio Errico

Calava un’afa che ristagnava l’aria, una sera del mese di giugno del Duemilauno.  Francesco Guccini si era avventurato in Salento, da Pàvana a Serrano, per ritirare il premio “L’olio della poesia”. Si andava per i vicoli di Otranto, e lui raccontava di quando scese a Lecce nel Sessantadue per fare il militare, che era anche estate allora, e faceva un caldo d’inferno anche allora, e intercalava il racconto con la frase c’è troppa pianura qui, c’è troppa pianura. Allora gli citai questi versi di Bodini: “Sulle pianure del Sud non passa un sogno./ Sostantivi e le capre senza musica,/con un segno di croce sulla schiena,/o un cerchio,/quivi accampati aspettano un’altra vita”.

Lui ripeté per due volte: sostantivi e le capre senza musica. Quel verso gli piaceva.

Quelli che erano con lui, quella sera, le sue canzoni le conoscevano a memoria. 

Poi passarono gli anni: undici; e   uscì “L’ultima Thule”. Guccini disse che avrebbe smesso di scrivere canzoni, che prima non c’era giorno che non prendesse la chitarra ma che oramai non la toccava quasi più. Allora uno pensa che forse non era soltanto una canzonetta quella che diceva “Ogni cosa alla lunga mi molesta/ e cerco un’altra festa/ e poi le feste in fondo mi han stancato”.

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