di Francesco D’Andria
La scorsa primavera a Parigi, dopo il Convegno sulle lingue della Puglia preromana, avevo deciso di visitare lo straordinario Museo che era stata la casa di Gustave Moreau, uno dei maggiori pittori del Simbolismo nella Francia della seconda metà dell’Ottocento. Centinaia di dipinti, disegni preparatori, oggetti della vita quotidiana del pittore, e infine la grande Sala-atelier in cui sono esposti i suoi capolavori. Sulla parete di fondo, campeggiava una grande tela con un soggetto speciale, tratto dal libro ventiduesimo dell’Odissea: “Les Prétendants” i Pretendenti alla mano di Penelope, ossia i Proci, falciati dalle frecce di Ulisse. Il pittore aveva dispiegato le potenzialità del suo virtuosismo pittorico in una incredibile e dissonante potenza cromatica e nei minimi dettagli decorativi di mobili e architetture. Sul lato destro della tela, con stupore avevo riconosciuto il disegno di un vaso proveniente dalla Puglia: un askòs rinvenuto a Canosa nell’ipogeo Lagrasta. Figure di piangenti, vittorie alate, tritoni intorno alla maschera della Medusa componevano un insieme esotico che aveva attirato l’attenzione del pittore.
Il vaso era stato donato al Louvre nel 1853 e doveva aver suscitato curiosità nell’ambiente artistico della Capitale: un’altra prova delle relazioni con la Puglia, di quella componente “barisienne” che caratterizza il capoluogo della nostra Regione. Queste relazioni, alimentate dal collezionismo durante tutto l’Ottocento, sono ora oggetto del volume, pubblicato a cura di Daniela Ventrelli, che contiene gli Atti di un Convegno tenuto a Parigi nel novembre del 2017, nell’ambito di un Progetto di Collaborazione scientifica tra il Comune della Ville Lumière e la Regione Puglia, con il coinvolgimento di alcuni Istituti di ricerca francesi. Finalmente sul binario giusto della Edipuglia, nella collana diretta da Giuliano Volpe, arriva il treno della pubblicazione degli Atti di quel Convegno. Argomento centrale del volume è uno dei Mirabilia dell’archeologia nel Mediterraneo: Ruvo e le straordinarie scoperte di ceramiche figurate prodotte nel periodo classico in Attica e in Magna Grecia. Suscitarono stupore nell’Europa dell’Ottocento tanto che ad esse venne attribuito il nome di “vasi ruvestini”, quasi fossero prodotti in questo centro dell’Apulia preromana.