Abbasso il mare

di Paolo Vincenti

“È stato un temporale
pigro e passeggero
e il sole è su che brucia
in cielo, sulle tegole
ma non avevo visto mai un arcobaleno
essere centrato in pieno
da una rondine
come un lampione che si accende
in pieno giorno inutilmente”.

(Ferragosto – Samuele Bersani)

Ad agosto, “quando incrudelisce la rovente criniera del Leone” per dirla con Marziale1, qui da noi fa molto caldo, specie quando è scirocco, cioè quasi sempre. Il vento umido dal sud non fa respirare, attanaglia in una cappa di caldo, mosche e zanzare, e c’è chi lo vive come una vera maledizione. È il favonio, “sciroccu mputtanatu”, si dice in dialetto salentino. Io, ad agosto, quando prendo le ferie, mi trasferisco nella residenza estiva ma negli ultimi anni lo faccio più per compiacere mia moglie, che ama (come il 99% degli italiani) trascorrere le ferie al mare, che per reale convinzione. Anzi, a dirla tutta, ormai per me non è nemmeno un piacere, avendo sviluppato negli ultimi tempi una vera idiosincrasia per il mare e la spiaggia. Starò invecchiando? Non lo so. È certo che la confusione delle spiagge affollate ad agosto, il frastuono prodotto dalla musica ad altissimo volume, dai bambini schiamazzanti, dal passaggio di yacht, moto d’acqua, elicotteri, pedalò e gommoni, mi creano profondo fastidio che non riesco neanche a dissimulare, con la conseguenza che in quelle rare permanenze in spiaggia il disagio mi si legge in faccia e amici e famigliari evitano persino di rivolgermi la parola perché temono di averne in risposta degli improperi. Mi lasciano così sotto l’ombrellone, come un polipo appena sbattuto sulla roccia o un granchio cui sono state strappate le chele, a leggere un libro, nell’attesa che si faccia ora di pranzo ed io possa risalire in casa dopo aver pagato pegno, cioè onorato quel debito di convivenza famigliare che mi strozza peggio del nodo dei cravattari per l’usurato. Lo scirocco porta le nuvole cariche di sabbia, la fulva caligine2, e a volte anche delle tempeste improvvise, come dice Orazio, che descrive lo scirocco scatenatore di nembi3 e lo chiama niger, cioè “negro”o “fosco”4, proprio come il colore della pelle dei venditori ambulanti che infestano le spiagge d’estate e un tempo spregiativamente chiamati “vu cumprà” o “tappetì”. Che strana evoluzione, a pensarci bene, il costume. Mutano i tempi e le abitudini della gente.

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