di Antonio Devicienti
Il
silenzio è la nostra camera da sempre
non è possibile raggiungere le solitudini
se non attraverso molti strappi
ed è senza dubbio il senso ultimo
della penetrazione lenta della terra nei nostri corpi.
*
Abito
il silenzio da sempre –
ma non si può raggiungere la solitudine
se non dopo numerosi strappi:
ed è senz’altro questo il senso finale
del penetrare lento della terra nel corpo.
EN CREUSANT
Le silence est notre chambre depuis toujours
les solitudes ne peuvent s’atteindre
qu’à travers de multiples déchirures
et c’est sans doute le sens ultime
de la lente pénétration de la terre dans nos corps.
In Le bonjour et l’adieu (Mercure de France, 1991)
VERSIONI
Propongo due mie versioni del medesimo testo di Pierre-Albert
Jourdan (Parigi 1924 – Caromb in Valchiusa 1981); la prima si potrebbe dire più
“fedele” al testo originale, mentre mi piacerebbe definire la seconda una
“traduzione-interpretazione” che, tra l’altro, s’innesta perfettamente su di
una linea di ricerca che seguo da qualche tempo e che è l’idea dell’abitare la
lingua (e il mondo) da una parte, il silenzio dall’altra. In questa seconda
proposta mi sono concesso la felice libertà di reinterpretare i versi del
poeta, di provare a immaginare che cosa lui stesso avrebbe forse scritto se
avesse voluto ripensare il testo (mi scuso per una tale temerità e arroganza) –
e, nel medesimo tempo, ho cercato di rileggere il testo esplicitando quelli che
mi sembravano i sensi velati dei versi.