Le elezioni USA e il Mezzogiorno

di Guglielmo Forges Davanzati

La gran parte degli analisti prevede che la vittoria di Trump produrrà esclusivamente effetti negativi sull’economia europea, in virtù dei dazi che il Presidente imporrà sulle importazioni dal nostro continente e dalla Cina. La Storia economica ci dà, però, un insegnamento di segno leggermente diverso rispetto ai vantaggi del libero scambio, rilevando che l’industrializzazione – con la sola eccezione del Regno Unito nella prima rivoluzione industriale nella seconda metà del Settecento – è sempre avvenuta facendo crescere industrie nascenti nazionali con misure di protezione doganale. Friedrich List, economista tedesco la cui opera principale è Il sistema nazionale dell’economia politica del 1841, è stato fra i primi a mostrare come la “protezione delle industrie nascenti” fosse la sola strategia che la Germania avrebbe potuto adottare per non soccombere alla concorrenza inglese, essendo l’Inghilterra partita prima nel processo di industrializzazione. Questa considerazione di carattere generale può essere declinata nel contesto attuale e con riferimento ai nessi fra politica commerciale USA e prospettive di crescita del Mezzogiorno, sulla base di una duplice considerazione.

1) Innanzitutto, non corrisponde pienamente al vero che solo i Repubblicani USA sono favorevoli al protezionismo. L’IRA (Inflation reduction act) di Biden – un forte stimolo fiscale destinato alle imprese statunintensi per la transizione “green” – è stato, di fatto, un provvedimento ascribile al caso del protezionismo occulto. Mentre è ormai ben nota l’esplicita adesione di Trump alla politica di protezione dell’industria USA (“la parola più bella del dirzionario” – ha dichiarato – “è tariffe doganali”), è forse meno nota un’analoga presa di posizione di Kamala Harris, secondo la quale “bisogna in qualche modo difendersi da un’ondata di concorrenza sleale”.

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