di Giuseppe Virgilio
Ricordo di Pasolini
“Da quale parte si va in piazza Elios?”. Ed il ragazzo del chiosco di benzina situato sul lato sinistro della strada all’estrema periferia di Calimera per chi viene da Lecce, appare dapprima ignaro, ma aggiunge subito dopo che più avanti vi è con quel nome soltanto un negozio di abbiagliamento. “E per andare in piazza Sole?” E qui subito una risposta mimetica, precisa.
Quel ragazzo ha un profilo bellissimo, di quelli che caratterizzano la razza greca. “Fronte diritta e naso regolare”; Pasolini mi dice proprio così, ed aggiunge che evidentemente per l’ultima generazione della Grecìa “elios non ha più diritto di cittadinanza nell’area del sole”.
Pasolini crede di essere giunto in una minoranza etnico-linguistica che non ha ancora troncato ogni legame con la storia e le tradizioni e la sua terra. Quando però si entra a Calimera, in piazza Sole, dove a destra svettano palazzi moderni a scatolone ed a sinistra caseggiati antichi con qualche balcone istoriato, Pasolini non ha più dubbi, e con immagine fresca e viva, caratteristica della sua conversazione, dice che gli sembra di essere tornato nello Jemen. Poi, nello scantinato in disuso di una fabbrica di tabacco, un coro di giovani canta antichi inni greci ed un vecchio fa il pianto al morto. Ed io insisto perché egli mi dica le sue impressioni. Ed anche qui una sola battuta perentoria: “Purché tutto non finisca in Arcadia!”; vale a dire che il salvataggio di una minoranza etnico-linguistica deve essere mezzo di rigenerazione spirituale, e non moda introdotta ad uso del potere.
La mattina di quel martedì 21 ottobre 1975 egli ha parlato nella sala della biblioteca al Liceo “Palmieri” di Lecce in un dibattito sul tema Dialetto e Scuola.
Un alone di pallore circonfonde il suo viso ed il fascino del suo eloquio sta in un ritmo di voce vaga e dolce. Di questa sua strana voce egli forse è stato consapevole, se ne L’usignolo della Chiesa cattolica ha scritto:
“Non invecchio. La mia pelle di primula,
la mia voce di brezza dolce d’umido,
i miei occhi modesti,
non consumo“.
Io ne sono rimasto quel giorno fortemente impressionato. Ho letto nel suo volto uno sgomento di tenebra, e nella voce ho sentito un atto di semplicità e di umiltà che mi ha fatto avvertire la presenza di uno spirito francescano, se in S. Francesco vi è espansione di vita, presenza gioiosa di forme e di valori, attraversati talora da incubi ascetici.
Qual è stato il dramma, il male oscuro di Pasolini? Ne ha parlato indirettamente lui stesso quella mattina tra noi in pubblico ed in privato. Perciò bisogna partire, con lui, dalla sua passione, per recuperare, con lui, la sua ideologia.
Il dopoguerra, le borgate miserabili, il fascismo e, sempre, il capitalismo consumistico, sono fatti storici di cui ormai il popolo, secondo Pasolini, non riesce più a prendere coscienza. Il popolo è pura fisicità, è natura senza tempo e senza età, ed i ragazzi di vita non sono diversi dal popolo. Essi per Pasolini continuano ad essere innocenti, anche quando sono perversi. In questo senso lo scrittore ha patito un dramma grandemente doloroso. Se Pasolini abbia voluto soltanto serbare un mito antico (la fanciullezza innocente), il dramma sarebbe solamente intellettuale. La verità è invece che egli ha vissuto e patito il suo dramma nella totalità della sua umanità.
Non si dimentichi che Pasolini ha recuperato il dialetto come strumento di concretezza, come unico modo per rappresentare il suo materiale umano, le manifestazioni anarchiche del popolo, allegria, spensieratezza, sesso, spavalderia, ambienti plebei, vicoli sporchi e bui dei quartieri cittadini con i loro protagonisti, prostitute, magnacci, disoccupati, ubriachi e giovani malandrini, e tuttavia egli ha dovuto convincersi, suo malgrado, che non c’è più alcuna speranza in Italia per il sottoproletariato, gli emarginati e gli esclusi. In particolare, giovani ricchi e giovani poveri sono ormai omologati dal consumismo e quindi sono diventati moralmente imponderabili.
A questa conclusione Pasolini è giunto soprattutto dopo che, assopitasi la carica letteraria ed affievolitasi la sua fiducia nella letteratura, inutilmente egli ha sperato di rieducare e redimere il sottoproletariato attraverso l’esperienza cinematografica.
Cosa è restato a questo punto per uno scrittore in cui passione ed ideologiapermangono come dramma irrisolto, se non la poesia della morte? Voglio dire la certezza, l’unica certezza della sua vita, che nella morte della società vive esclusivamente la poesia? Non più la parola, non più l’immagine visiva, la morte come logos-verità, perché da quella morte la coscienza del popolo è perentoriamente sollecitata ad esaminarsi nei suoi recessi più profondi, ed a esplorare zone dello spirito che parlano con voci ancora indistinte. E così la ragione può aiutare il pensiero a cercare ed a comprendere alcune necessità del vissuto che finora sono sfuggite ed alcuni aspetti della nuova morale che sta nascendo nel mondo, anche per opera di Pasolini, e che non può essere intesa dalla gente meschina o da quella che ideologicamente presume di sé.
Pier Paolo Pasolini un anno dopo (1976)
Vittorio Spinazzola ha con acutezza messo in rilievo che le prime opere postume di P.P. Pasolini sono state La Divina Mimesis e Salò o le 120 giornate di Sodoma, cioè il rifacimento di due opere letterarie dalle opposte connotazione e finalità. La Divina Mimesis avrebbe dovuto rielaborare il poema dantesco come simbolo della corruzione di un mondo in preda agli odi, agli egoismi e alle passioni individuali, ma l’opera si arresta ai primi due canti che hanno funzione di introduzione. Pasolini non ha potuto condurla a compimento perché nel frattempo è stato investito da una violenta crisi ideologica. La giustizia, l’amore fra i cittadini, forse anche la patria sono periti, soprattutto la rettitudine e la moralità. Spenti amore ed umanità, sopravvive una sfrenata volontà di potenza e di dominio. Non è quindi possibile porre i fondamenti di una migliore convivenza tra gli uomini. L’escatologia dantesca non serve più. Pasolini si volge a Sade, cioè allo scrittore che più realisticamente ha esplorato e rappresentato la perversità del mondo senza possibilità di redenzione. La rielaborazione pasoliniana in chiave cinematografica dell’opera di Sade ci sembra un’operazione di tipo decadente, anche se da essa bisogna escludere l’impronta di stampo irrazionalistico. Il Male è smisurato, enorme, indicibile: ecco la verità pasoliniana. Pasolini è disceso nei gorghi profondi ed inesplorati della psiche umana per cercarvi la dimensione dell’inconscio e dell’istinto concepita anteriormente alla razionalità, come rifiuto di ogni considerazione morale, di ogni dovere imposto dalla convivenza umana. Ma che cosa egli ha scoperto nella zona oscura della coscienza? Nient’altro che il regno dell’orrore. E non si tratta di un orrore, secondo la tesi di Asor Rosa “(…) come spavento dell’ignoto, dell’irrazionale, dell’incomprensibile, che sono altrettante forme-limite della nostra incapacità di controllare le cose e forse di controllare noi stessi”[1], né orrore da cui nasce il bisogno di rifluire nel buio remoto ed ineffabile delle origini. Pasolini, invece, con una straordinaria capacità di penetrazione negli oscuri terrori dell’animo, su cui incombe lo spettro della solitudine e dell’alienazione, ha inteso soprattutto rappresentare il regno dell’orrore come tetra condizione che si manifesta nella realtà quotidiana, in virtù della nostra incapacità di sentire disgusto davanti allo stravolgimento dell’autenticità dell’Eros e alla sua alterazione e deformazione. Si pensi alle sequenze del banchetto escrementizio del Salò e non si dimentichi che nel campo nazista di Sobidor presso Lublino è storicamente accertato che a chi chiedeva da bere, si riempiva la bocca di escrementi. Da dove nasce in Pasolini la scoperta dell’orrore? Dall’aver oggettivato nella sua opera letteraria e cinematografica la rappresentazione artistica della vita proletaria, e particolarmente della natura e della vitalità anarchica di essa. Egli è persino giunto con un lungo e vasto lavoro filologico e strutturale a rompere il carattere petrarchesco della nostra letteratura e del nostro novecentismo, abbassando al livello della prosa la lingua della poesia. Lo scrittore si è convinto che in mezzo al popolo che vive fuori della storia può penetrare soltanto l’amore. Perde qui, come abbiamo detto, l’impronta irrazionalistica l’operazione di tipo decadente che promuove Pasolini. Nello spirito diseredato del sottoproletariato, difatti, si annidano la nevrosi e il delitto come impulso incoercibile. Essi nascono dal senso della vita come limite, inganno e delusione. Per effetto di ciò, solamente l’autenticità dell’Eros può far ritrovare il contatto elementare con la vita, la possibilità di una piena comunicazione e di una più vasta partecipazione alla realtà dell’essere. A questo punto emerge l’importanza dell’elemento biologico ed esistenziale nell’opera pasoliniana come prerogativa essenziale del decadentismo dello scrittore. Sappiamo che tutti gli scrittori, teorici del decadentismo europeo, presentano delle personali connotazioni biologiche e spirituali. Ioris Karl Huysmans, autore di A’ Rebours (Controcorrente), un testo canonico della dottrina decadente, dopo una crisi lunga e dolorosa, è entrato in un convento di Benedettini; Charles Baudelaire si è abbandonato al vino ed alla droga; Paul Velaine ha esperimentato le vicende dell’alcolismo e della prigione; Authur Rimbaud quelle di una vita quant’altre mai sregolata; e perfino l’americano Edgard Allan Poe, che ha esecitato un notevole influsso sulla letteratura europea dopo che Baudelaire lo ha scoperto e ne ha tradotto i racconti, è stato un alcolizzato e soggetto a nevrosi depressive. Ebbene, proprio l’individuale condizione esistenziale si risolve in ciascuno di questi scrittori in un recupero illuministico della ragione. Questa appunto sorregge e controlla il regresso lungo i gradi dell’essere fino alla radice prima della vita dell’anima, proprio come accade in ogni fatto di cultura decadente. Che cos’è, difatti, per Pasolini la sua diversità? Nient’altro che un motivo per combattere una battaglia affinché, in nome della ragione, muti la disposizione psicologica nei confronti del diverso, affinché la diversità sia liberata da un contenuto di immoralità anticulturale, perché negli uomini nasca un’autocosciente riflessione su quanto sia complessa la natura dell’eros e la realizzazione di esso. In altri termini, con Pasolini ha preso corpo un’operazione illuministica che tende a garantire un acquisto culturale eliminando incrostazioni di ignoranza. Al lettore che abbia seguito il dibattito sulla stampa italiana in seguito alla morte di Pasolini, a cominciare dall’articolo Il difficile amore diverso apparso sul “Corrire della Sera” del 12 novembre 1975, non saranno sfuggite le acquisizioni culturali dopo quell’evento. Esse consistono in un complessivo rinnovamento della nostra vita sessuale, a cominciare dalla necessità di correggere l’immagine sfigurata dell’amore diverso nell’opinione corrente della nostra società. Omosessualità ed eterosessualità sono uguali in quanto pure acquisizioni culturali e non come tendenze innate dell’uomo. Nell’uomo è innato soltanto l’istinto sessuale. Intervengono poi la cultura e l’educazione ad indirizzare l’istinto verso persone di sesso uguale o diverso. In questo senso, dallo stravolgimento dell’autenticità dell’eros nasce una delle cause maggiori dell’orrore che incombe gelido nel mondo moderno. Perché il sesso diventi forza reale che spinge gli esseri umani ad amarsi tra loro con dedizione assoluta, bisogna eliminare tutte le distorsioni che irretiscono nella realtà umana la sessualità (per es. maschio forte, dominatore, attivo; donna debole, sottomessa, passiva) e comprendere che l’omosessualità è perseguitata perché essa può anche diventare un elemento che mette in crisi tutte le strutture sociali basate sull’oppressione, lo sfruttamento ed il dominio aggressivo, se è vero che nella forma eterosessuale il rapporto sessuale è ridotto ad una relazione di sudditanza-dominanza. Nasce qui la figura dell’omosessuale come emarginato, da confinare nel ghetto.
In Italia opera dal 1973 il CIDAMS (Centro Italiano per la Documentazione delle Minoranze Sociali), un’organizzazione che si occupa della problematica omosessuale in tutti i suoi aspetti. Il modo tragico della morte di Pasolini ha generato il bisogno di conoscere criticamente il problema del sesso fino ad indurre perfino gli insegnanti cattolici ad avventurarsi sul difficile terreno dell’educazione sessuale[2].
A noi è sembrato doveroso ricordare questi problemi ad un anno dalla scomparsa di P.P. Pasolini, che con la sua vita e la sua opera ha contribuito a tenerli vivi se non proprio a destarli come elemento di ampia rilevanza nella nostra vita sociale.
[Il Ricordo di Pasolini fu scritto pochi giorni dopo la morte dello scrittore avvenuta il 2 novembre 1975. Il 21 ottobre, Pasolini aveva incontrato gli insegnanti leccesi impegnati in un corso di aggiornamento sul tema Dialetto e scuola. Le foto che corredano questi scritti furono scattate nel pomeriggio di quel giorno a Calimera.]
[1] Vedi “l’Unità” di Venerdì 7 maggio 1976.
[2] Si vedano gli atti del Convegno di quattro giorni tenuto a Palermo nel decorso mese di settembre dall’UCIIM; prim’ancora il tema è stato discusso in uno scriitto di Goffredo Parise sul “Corriere della Sera” del 10 luglio u.s., cui ha risposto Carlo Bini l’8 agosto sullo stesso giornale. Sono poi intervenuti Natalia Gnzburg e Giovanni Gozzer, rispettivamente sul giornale milanese e sul “Popolo”.