di Antonio Errico
Mitologia d’infanzie che non esistono più: di quelle che consumavano sconfinati pomeriggi di autunni e primavere per le strade del paese, per le campagne appena fuori, con gli occhi verso il cielo a guardare l’aquilone andare in alto, sempre più in alto, più lontano, allentando o ritirando il filo con il polso fermo, con strappi misurati, precisi, sicuri.
Con gli aquiloni si alzavano anche i sogni, ma senza pensarci; c’era solo il pensiero di quel volo e nessun altro. A volte gli aquiloni cadevano. Anche i sogni cadono, a volte.
Si dice che fu Archita da Taranto, considerato il creatore della meccanica razionale e il fondatore della meccanica, a inventare l’aquilone tra il IV e V secolo a.C.
Si dice anche che fu inventato in Cina, più di 2000 anni fa.
Un aquilone era la proiezione di un immaginario soggettivo. Molti aquiloni la proiezione di un immaginario collettivo. Ma quasi mai si era da soli con il proprio aquilone. Si andava a frotte, e si faceva a gara a chi riusciva a portarlo più in alto. Perché un aquilone non vola da solo; occorre farlo volare, portarlo nell’aria, dargli agio nel vento, fargli prendere la giusta direzione, fargli trovare l’altezza esatta. Perché oltre quell’altezza si strappa, al di sotto s’incoppa, si avvita, precipita. Bisogna saperlo governare un aquilone, quando ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, s’innalza. Gli ultimi sei verbi sono quelli di una bellissima e amara poesia di Giovanni Pascoli che tutti quelli con più di quarant’anni hanno imparato a memoria in un’aula di scuola e di cui ricordano almeno l’incipit famoso: c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,/anzi d’antico. Si pensa che per dire i movimenti di un aquilone ci siano solo i verbi di quella poesia di Pascoli, e per l’atmosfera con un po’ di nostalgia i versi di una bella canzone degli Alunni del sole, quella che finisce così: “Ed ora sei cambiata /sei triste e senza sogni /trascini sola sola le tue giornate vuote /se guardi verso il sole/ ricordi vagamente un aquilone/ ma è già volato via, ma è già volato via”. Autori:Ettore De Carolis, Paolo Morelli, Carlo Rossi.
Come sempre, grande Errico. Il più affascinante, colto, coinvolgente narratore salentino. Un autore che andrebbe valorizzato a livello nazionale (se esistessero ancora le case editrici degne di tale nome).