Miniature di un’infanzia / L’abbaglio del tempo di Ermanna Montanari

di Antonio Prete

Un paese, un piccolo paese, nel quale abbiamo vissuto l’infanzia, può essere una specola da cui osservare, per contrasto, e come dall’ombra, il mondo. O può, quel paese, diventare esso stesso il mondo, o essere, del mondo, un compendio animatissimo, in cui appaiono, nella prossimità e nel nitore, tutte le forme di vita che altrove sono invece chiuse in un’obliqua lontananza. Campiano, il paese del ravennate che Ermanna Montanari racconta, il suo paese, è questo mondo. E il libro che lo mette in scena (L’abbaglio del tempo, edito ora per La nave di Teseo, scritti introduttivi di Marco Belpoliti e di Igort), con i suoi quadri e i suoi scorci diventa un album in cui ogni disegno ha la grazia di un’affezione cresciuta nella distanza, e mai affievolita. Ma ha anche l’umore e l’ironia di chi può di quel mondo sorridere, perché esso è già tutto dentro di sé, ritmo del proprio corpo, musica silenziosa della propria lingua: sogni, voci, fantasmi, paure, dolori, destini di donne e di uomini, figure animali, presenze arboree, suoni della terra e succedersi delle stagioni appartengono al respiro di colei che scrive. 

Queste “miniature” di un’infanzia e di un’adolescenza non sono un “racconto di formazione” – logora formula per classificazioni di genere – ma un’incursione avventurosa, insieme meditativa e fortemente visiva, nel teatro della propria interiorità. Un teatro che nel caso della narratrice, che è attrice e regista, appare come il sottofondo – radice e principio – dell’altro, concreto teatro, quello che annoda sulla scena corpo e parola, rito e rappresentazione, suono della poesia e figurazione gestuale.

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni e segnalazioni e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *