di Antonio Resta
Mai nominato, il Salento è con irrefutabile evidenza la regione in cui avvengono le vicende narrate ne Le storie dello scirocco di Paolo Vincenti (Besa 2024): è la terra battuta dallo scirocco, che detta una delle pagine più vivaci e felici. A dominare è un’inventiva sbrigliata che investe i nomi dei luoghi, dei personaggi e lo stesso linguaggio (“imprecando contro la domenica sdrucciola e la calura mortifera”), fino a esiti di divertita mimesi: si veda il discorso dell’assessore alla cultura che, mentre stigmatizza quella dei compaesani, rivela la sua abissale ignoranza nell’oltraggiare la lingua italiana (“a caratteri cubitici”; “che faccino quello che vogliono”). Le storie dello scirocco è un romanzo pop o postmoderno, in cui si intrecciano registro alto e registro basso, livello aulico e livello quotidiano, con l’impiego di termini dotti o rari accanto a quelli più prosaici e perfino triviali, di là da ogni gerarchia di valori. Non inganni il sottotitolo, Commedia in due atti, che serve solo a spiazzare il lettore, in linea con quell’atteggiamento ironico e irriverente che permea il libro; si tratta, in verità, di un’opera narrativa, formalmente divisa in due parti, prive di scansioni in capitoli o capitoletti, con brani separati solo da tre asterischi, quasi frammenti di un mondo alla deriva. A meno che quel sottotitolo non voglia accennare a un teatro in cui è rappresentata una realtà irrazionale e caotica, sfuggente a ogni teleologica concezione. Si potrebbe anche pensare che si alluda alla Commedia di Dante, non solo per il mescolio del linguaggio, ma anche per la peculiarità del contenuto. È infatti un girone infernale, quello che è raffigurato, di personaggi involti in vizi, crimini e scelleratezze: personaggi di sfrenati costumi, trattati con espressionistico furore, pressoché ridotti a pure funzioni narrative, scevri come sono di approfondimenti psicologici.