di Gianluca Virgilio
In Convivio I, i, 14-15 l’Alighieri espone il piano dell’opera:
“La vivanda di questo convivio saràe di quattordici maniere ordinata, cioè quattordici canzoni sì d’amor come di vertù materiate, le quali sanza lo presente pane aveano d’alcuna oscuritade ombra, sì che a molti loro bellezza più che loro bontade era in grado. Ma questo pane, cioè la presente disposizione, sarà la luce la quale ogni colore di loro sentenza farà parvente.” (Conv. I, i, 14-15)
La potenzialità digressiva della scrittura, fondata sulla teoria dei quattro sensi d’interpretazione della poesia, autorizza senza dubbio un piano così vasto dell’opera. L’esegeta darà “luce” alle proprie canzoni, perché tutti possano comprenderle nel loro autentico e profondo significato, perché il lettore non si soffermi solo sulla loro “bellezza”, ma possa apprezzare anche anche la loro “bontade”[1]. Per una piena comprensione delle canzoni allegoriche, l’autore ha chiarito che d’ora innanzi il rapporto col lettore dovrà essere mediato dal suo commento; se qualche vizio era nell’opera poetica del passato (e tuttavia, come si è visto, “altra” era l'”intenzione” dell’Alighieri) ora al Convivio spetta il compito essenziale di eliminarlo. Mostrando come devono essere interpretate le canzoni poste in apertura di ogni trattato (ad eccezione del I che funge da introduzione), l’autore in realtà vuole insegnare al lettore in che modo dovrà rileggere e intendere anche le rime giovanili, in particolar modo quelle antologizzate nella Vita Nuova. Pertanto assistiamo ad un implicito tentativo di assimilare quest’opera al Convivio; infatti, per qualche ragione, che ora ci accingiamo ad indagare, secondo il giudizio del narratore del Convivio, la Vita Nuova non è stata compresa nel suo vero e profondo significato. Il Convivio, come si è visto, deve soccorrerla, le deve “giovare”[2].