Il Governo all’attacco delle Università meridionali

di Guglielmo Forges Davanzati

Si annunciano ulteriori tagli al sistema universitario italiano da parte di questo Governo. Si tratta di misure che si inscrivono in una traiettoria di lungo periodo, che data a partire dal secondo Governo Berlusconi (la cosiddetta riforma Gelmini è del 2010) e che porta il nostro Paese ad avere poche sedi universitarie e una bassa percentuale di laureati nel confronto con la media OCSE. Il Governo Monti ha contribuito in modo significativo al ridimensionamento del nostro sistema universitario e dell’alta formazione, con un calo del 17.9% del fondo ordinario.

Al momento, la spesa italiana per le Università è inferiore all’1% del Pil, a fronte di una media OCSE dell’1.6%. I tagli al sistema universitario hanno natura selettiva e penalizzano soprattutto le sedi meridionali e ancor più quelle periferiche. Il meccanismo utilizzato per differenziare, di fatto, le sedi universitarie consiste nell’aumento della cosiddetta quota premiale, che finisce per avvantaggiare le Università localizzate in aree con maggiore sviluppo economico. Dal 2009 la quota base si è progressivamente ridotta, passando dal 91%, all’80,5% del 2012, al 46,95% del 2023. Non aumentano gli stipendi del personale universitario e si incentiva il recupero dei finanziamenti attraverso fonti esterne, in un meccanismo equiparabile a un moderno mecenatismo (è il committente a stabilire i temi della ricerca). L’Agenzia Nazionale di Valutazione della Ricerca (ANVUR) si occupa di quantificare il merito, secondo metodologie estremamente discutibili, che finiscono per equiparare la quantità delle pubblicazioni scientifiche con la loro qualità e incentivano, di fatto, il conformismo della ricerca e le peggiori pratiche di autocitazione. Si rinvia al blog roars.it per approfondimenti sul tema.

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