a cura di Ferdinando Boero
16.02.06
Caro Angelo
Il buon Pertini un tempo disse a Woytila che lo invidiava per la sua fede. Per la possibilità ulteriore, nell’al di là, di poter sopperire agli errori dell’al di qua. Per me, gli disse Sandro, questa possibilità non c’è. Se faccio male qui, non ho possibilità di riscatto. E non ho neppure la confessione. Tutt’al più c’è la consapevolezza di dover riparare ai propri errori con comportamenti futuri, coerenti con l’ammissione di aver sbagliato. Andreotti, invece, si confessava tutte le mattine. E credo che anche Fazio, il presidente della Banca d’Italia, lo faccia molto spesso. Per tornare come nuovo. E’ un grande vantaggio psicologico, se ci si crede veramente. Mia nonna, che quest’anno fa cento anni, ha visto morire suo figlio. Credo che non ci sia niente di peggio. Ma è riuscita ad andare avanti perché va tutti i giorni in chiesa. Ora un po’ meno. E’ una terapia molto efficace. Fa bene. E se fa bene che male c’è? Ma quel che è bene per mia nonna magari poi si può adoperare in altre direzioni, in altri contesti. Le scelte personali sono sempre condivisibili, basta che, come la libertà, non intacchino le scelte altrui. In nuova Guinea ho visto un genocidio culturale in atto, da parte dei missionari. Convinti, sinceramente, di fare del bene con i loro ospedali, le loro scuole. Paradossalmente, fanno bene ai corpi e fanno male allo spirito. Avendo tutt’altro intento. Sostituire la religione di una persona con la propria è una violenza. Soprattutto se avviene da chi ha strumenti di convincimento molto forti. Prima i buoni Papua se li mangiavano i missionari. Una bella comunione. Che poi altro non è che una ritualizzazione del cannibalismo.