di Paolo Vincenti
Su suicidio assistito e fine vita
La morte per suicidio assistito del DJ Fabo richiama la nostra attenzione su una tema scottante, un caso di coscienza di cui però la politica ha l’obbligo di interessarsi, interpellandola, la coscienza, se ancora ce l’ha. La Chiesa si oppone ma sui diritti civili non possono essere le gerarchie ecclesiastiche a dettare la linea, pure in un Paese ultra cattolico come il nostro. Il drammatico caso del Dj Fabo, accompagnato in una clinica in Svizzera per dare seguito al suicidio assistito, si aggiunge ad una lunga serie di casi analoghi, a cominciare da Piergiorgio Welby, passando per Giovanni Nuvoli e Eluana Englaro (questi almeno quelli più noti mediaticamente). Alla Camera dei Deputati sono presenti ben quattro proposte di legge sul Fine vita –Eutanasia: una presentata dall’Associazione Luca Coscioni, di iniziativa popolare, due presentate dalle Onorevoli Maria Nicchi di Sel e Titti Di Salvo del Pd, una ancora presentata da Eleonora Bechis di Alternativa possibile. L’associazione Luca Coscioni, presieduta da Filomena Gallo e Marco Cappato, è molto attiva sul tema della bioetica e dei diritti civili. Personalmente, posso non trovarmi d’accordo su alcune iniziative, come la proposta di legge per la maternità surrogata, ma apprezzo il grande coraggio e il battagliero operare dell’associazione su temi così importanti, senza alcun fine di lucro. L’associazione prende il nome dal suo fondatore, appunto Coscioni, morto nel 2006 di sclerosi laterale amiotrofica il quale condusse una lunga battaglia su questa materia.
L’ultimo video d Dj Fabo, cieco e tetraplegico dal 2014, è davvero straziante e ci spinge a riflettere sul pauroso decorso di certe malattie irreversibili che consumano letteralmente il malato fino a ridurlo ad una larva, un vegetale, ancor peggio se il malato è sveglio e cosciente e padrone della situazione. La mente continua a funzionare ma il corpo non risponde e la sensazione di impotenza diventa annichilente. Un plauso a Marco Cappato che ha accettato di seguire il DJ Fabo nel suo triste iter di morte pur consapevole di andare incontro a delle conseguenze penali. E qui torniamo al punto. È davvero possibile che in Italia non sia ancora regolamentata per legge questa materia? Possibile che alcuni malati debbano andare all’estero, in Svizzera per esempio, per morire dignitosamente, in quanto nel nostro Paese non si è legiferato sul testamento biologico-eutanasia? Se ne parla da anni ed anni ma niente di fatto, la politica è sempre in altre faccende affaccendata, nonostante lo svegliarino dei Radicali, che rimangono l’unica voce davvero libera in Italia ad occuparsi politicamente di certi temi. Marco Cappato ora rischia tecnicamente da 5 a 12 anni per istigazione al suicidio. Del resto, egli continua la sua battaglia e sta aiutando anche altre persone nello stesso cammino. Davvero impervio avventurarsi su discussioni di carattere filosofico, religioso, antropologico. Resta solo l’etica della libertà, in questo grande dibattito, che può e deve essere salvata a prescindere, secondo me, da qualsiasi contrapposizione o polemica politica che ne possa venire. La libertà dell’individuo di scegliere della propria vita e della propria morte è un diritto che va rispettato e questo lo si può dire anche senza essere un esperto della materia. Lo Stato non può ingerire in certe scelte così delicate, difficili, che attengono alla coscienza di malati e famigliari. Deve solo lasciare la libertà di cui sopra, cioè permettere che ognuno possa comportarsi come ritiene più opportuno. Se un uomo vuole smettere di soffrire atrocemente, deve avere il diritto di farlo. Lo Stato di un paese è una cosa pubblica, la sofferenza, la vita, e quindi la morte di un cittadino, sono cose private. Lo Stato deve farsene garante, nel senso di permettere, non può sovrapporsi, vietare, limitare. “Adesso che è tutto finito, con il funerale cattolico concesso a DJ Fabo dalla Curia di Milano (mentre a Welby dieci anni fa venne negato), c’è un rischio”, denuncia Selvaggia Lucarelli dalle colonne de “Il Fatto Quotidiano” 7 marzo 2017, “che la mancanza di una legge sul fine vita torni ad essere un tema scomodo”. Ma i malati, come Dino Bettamin, macellaio di Montebelluna, gridano “basta soffrire!”. Anch’egli, affetto da Sla, lo scorso 5 febbraio, ha voluto mettere fine alle sofferenze attraverso la sedazione profonda, che sarebbe la somministrazione di una dose massiccia di sedativi per fare addormentare il malato, che così si era espresso in merito. Bettamin infatti aveva enunciato personalmente la volontà di terminare di vivere in siffatto modo. Questa, si badi bene, non è eutanasia, che invece è la morte attraverso l’induzione di particolari sostanze tossiche o l’interruzione dei trattamenti medici (classico esempio, il distacco del respiratore). E’ qualcosa di diverso. La politica ascolti le sofferenze dei tanti malati terminali come Bettamin e tuteli il loro diritto ad una morte dignitosa.
MARZO 2017
SATURA 1
Il sistema di potere della Seconda Repubblica si è rivelato per quello che era, corrotto fino al midollo, respingente, odioso, ancor di più che in passato, e questo ha fatto montare una rabbia inesplosa che ha portato alla sfiducia totale, al disincanto, al menefreghismo, alla rassegnazione. Su quest’ondata di malcontento sono affiorati i populismi, prima quello della nuova Lega a conduzione Salvini, un populismo ancora imperfetto, perché in parte istituzionale, la Lega è stata al governo di questo paese per anni e anni, dunque un ribellismo più di facciata, annacquato, per quanto di successo. E poi, il populismo perfetto di Grillo e dei Cinque Stelle. Nel vaffanculo del comico genovese, molta parte dell’elettorato si è riconosciuta e dalla sua politica non politica si è sentita rappresentata. Con il crollo delle ideologie, il tramonto dell’occidente sclerotizzato, non è restato che l’assenza di prospettiva, il vuoto di idee, il disfattismo degli arruffapopolo che hanno prontamente riempito quel vuoto con la loro vibrante e inconcludente protesta. L’horror vacui di certa parte del popolo italiano ha sancito il successo dei Pentastellati.
Dell’inchiesta Consip, che lambisce pericolosamente il “Giglio magico” renziano, all’inizio ha parlato solo “Il fatto quotidiano”. Il ministro allo Sport Lotti, già sottosegretario con delega ai servizi segreti, è stato prepotentemente chiamato in causa nell’inchiesta perché avrebbe rivelato informazioni riservate: rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento sono le ipotesi accusatorie a suo carico. Nell’inchiesta viene chiamato in causa anche Luigi Vannoni, Presidente della fiorentina Publiacqua e altro fedelissimo di Renzi,che lo ha voluo a Roma con lui con un incarico alla segreteria di Palazzo Chigi. Viene anche chiamato in causa il capo dell’Arma dei Carabinieri Generale Del Sette. Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip accusa Lotti e Del Sette di averlo avvertito dell’indagine in corso a suo carico. L’inchiesta è stata rivelata per la prima volta da Marco Lillo in un articolo del “Fatto”. Ma i giornaloni nazionali e i telegiornali hanno ignorato il problema fino a quando non è diventato di macroscopica evidenza ,con la richiesta di dimissioni del Ministro Lotti e una sfiorata crisi di governo. Solo allora i tg della Rai hanno acceso i riflettori sulle grane giudiziarie del “Giglio tragico”.
Gianluca Semprini conduttore di “Politics” Raitre, getta la spugna. La sua trasmissione è stato un flop negli ascolti e il giornalista sconsolato ha ammesso il fallimento nell’ultima puntata del programma. Mancava poco che si suicidasse in diretta come Howard Beale, il giornalista del film “Quinto Potere”. Povero Sempri!
Matteo Renzi, rieletto segretario del Pd. Il Renzaccio brutto di Pontassieve gongola, non lo dice ma è chiaro che nutre sentimenti di rivalsa nei confronti dei tanti detrattori che in questi ultimi mesi hanno tentato di affossarlo. Renzi ha sbaragliato la concorrenza e si è ripreso quel trono avito dal quale a malincuore era sceso all’indomani della sonora bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre. Trombettieri suonano e gli sbandieratori sventolano, i corifei applaudono e la corte sfavilla di luci e colori, il re è tornato, si aprono le danze, i nani saltano sulla schiena dei giganti, frombolieri sparano mortaretti e le ballerine lanciano cotillon. Tutto bene quel che finisce bene, come nella più classica delle favole. Però bisogna dire che quello uscito dalle primarie Pd è un Renzi quasi dimezzato, un “Ren”, diremmo. Prima di tutto perché, obbiettivamente, vincere contro Orlando e Emiliano, non è una grande cosa, perfino il Gabibbo ce l’avrebbe fatta. E poi Renzi prende quasi 500.000 voti in meno rispetto alle primarie del dicembre 2013 e l’affluenza alle urne è stata di un milione in meno, quindi il 30% circa, rispetto al 2013. A occhio e croce, Ren è lontanissimo oggi da quel prodigioso 41% preso dal Pd alle Europee di due anni fa. C’è una forte disaffezione da parte degli elettori Pd che riflette quella più generale degli elettori italiani. Speriamo che il neo segretario se ne renda conto. Il Pd ha subito una dolorosa scissione interna con i vecchi dinosauri dalemiani e bersaniani che insieme ai giovani vecchi speranziani hanno deciso di fondare un loro partitello, l’ennesimo della ingloriosa storia dei cespugli in politica. Matteo non controlla più tutto il partito e la dolorosa battuta di arresto gli ha fatto abbassare le ali. La sua proverbiale arroganza è stata innaffiata dalla doccia fredda subita ed ora, sebbene vincitore, gira meno fiero e impettito degli inizi.
APRILE 2017
Le metamorfosi di Emilio Fido
Emilio Fede da alcuni anni ha lasciato la televisione per disdetta di chi, come me, si sollazzava ad ascoltare il video giornalista nelle sue farneticazioni quotidiane ammannite al divertito pubblico di Rete 4. Ormai il Tg4, a conduzione Mario Giordano, è diventato un banale e ordinario telegiornale, senza la verve comica del sulfureo Emilio. Anche perché lo scalmanato Giordano (novello Farinelli), che offre siparietti comici a volte degni del peggior Fede, stranamente non si esibisce sui suoi stessi schermi ma va a sfogare la propria incontinenza nelle trasmissioni degli altri. Infatti, il direttore dalla insopportabile voce bianca è fra i più assidui frequentatori dei salotti televisivi e fra i più gettonati professionisti della rissa quando si tratta di buttarla in caciara. Il povero Emilio Fido, invece, è ormai diventato l’ombra di sé stesso; chi lo ha visto in qualcuna delle sue rare apparizioni tv ha constatato che la demenza senile, di cui era già preda quando appariva in video, insieme alla scorpacciata di pastiglie azzurre fatta negli ultimi anni, gli hanno fottuto quello che restava del suo labile cervello. Il Tg4 a conduzione Fede era un toccasana per chi aveva avuto una giornata pesante e poteva così rilassarsi scompisciandosi davanti alle comiche intemerate del direttore, perché sappiamo quanto sia terapeutico il valore della risata. Per altro, dal punto di vista giornalistico, la sua era una funzione didattica al contrario, nel senso che il buon giornalista poteva guardare lui per sapere cosa fare, cioè l’opposto. Un modello di riferimento in negativo, quanto a personalismo, sciatteria, faziosità, irascibilità, e chi più ne ha più ne metta. Ma il fido Fede ormai non prega più davanti alla statua a grandezza naturale del Cavalier B.. Anche perché è stato proprio Berlusconi, dopo una vita intera di amicizia e collaborazione, a liquidare il servile dipendente. E questo ha scatenato nel fido scudiero sentimenti tutt’altro che pacifici. Il leccaculo, accecato dal tradimento di chi considerava un’icona, un mito, un santo protettore, ha cercato di rivalersi sulla dirigenza di Rete 4 in maniera proditoria e si è macchiato di tentata estorsione, questa è l’accusa, nei confronti del direttore dell’informazione Mauro Crippa, del Presidente Fedele Confalonieri e dello stesso patron Berlusconi. Il fido Fede cioè avrebbe truccato delle foto rendendole compromettenti ed usandole come arma di ricatto per essere ristabilito nella sua posizione di direttore o, in alternativa, ottenere ben 820.000 euro di buonuscita e un contratto di collaboratore esterno da 70.000 euro l’anno per tre anni. Accipicchia! Coraggioso, il buon Fede! Sperava così di far addivenire la dirigenza di Mediaset a più miti consigli per potere lui, sebbene ormai rincitrullito, continuare a sedere sulla poltrona di direttore con la sua maschera di botox e i suoi capelli all’anilina. Egli è già imputato in concorso in bancarotta per un prestito ricevuto da Lele Mora e nel caso “Ruby bis”. Così, l’ex anchor man ha rivelato un aspetto della personalità che fino ad ora era venuto fuori solo quando si scagliava con furore contro gli avversari politici nei cazziatoni di cui faceva oggetto i suoi ospiti, specie i “maledetti comunisti” quand’essi attaccassero il suo Mecenate. Per difendere il suo padrone, infatti, Emilio avrebbe dato la vita, gli avrebbe fatto scudo col suo corpo, era disposto a tutto per tenere lontano il suo venerato signore dalle contumelie dei nemici. Poi, l’idillio si è rotto e dopo più di vent’anni di collaborazione, Fede, già nella bufera giudiziaria per avere sempre assecondato vizi e maialate del suo leader incontrastato, si è visto strappare il contratto. Apriti cielo! Il Pastor Fido si è trasformato nel delinquente violento e ricattatore per il quale la Procura ha chiesto 4 anni e 9 mesi di reclusione. Dalle depravate serate berlusconiane in compagnia delle porcelline dell’Olgiata, alle quattro sbarre della galera. “Miserie e splendori delle cortigiane”, per dirla con Balzac, dato il clima da fine della monarchia che si respirava ormai nella corte di Arcore. A questa prospettiva, il mite Emilio non ci ha visto più ed è diventato una belva. Insomma, da fido a rottweiler.
APRILE 2017
Ancora sul fine vita
Alla Camera finalmente è arrivato il via libera alla legge sul “fine vita”. Si tratta di una battaglia di civiltà che moltissimi, a partire dall’Associazione Luca Coscioni, stanno portando avanti. Il rischio è che la legge, dopo tanti tentativi esperiti da singoli parlamentari nel corso della legislatura, possa arenarsi ancora una volta nelle secche dell’incuria, del disinteresse e delle contrapposizioni politiche. Il rischio cioè è che la legge non arrivi nemmeno al Senato e resti lettera morta. Il testamento biologico prevede che ognuno possa stabilire come morire con un atto pubblico o scrittura privata, davanti a un notaio, pubblico ufficiale o medico, può disporre che in caso di grave e irreversibile malattia possa rifiutare i trattamenti sanitari come le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali, e il medico è tenuto ad attenersi alle disposizioni del malato terminale o di chi ne fa le veci. Il malato può sempre ritirare o modificare queste disposizioni fino all’ultimo istante. L’importante è che ci siano almeno due testimoni. E così anche il medico può rifiutarsi di eseguire le disposizioni e ne verrà chiamato un altro. Come è chiaro, non si tratta di suicidio assistito né di eutanasia, come, a mio parere, andrebbe invece fatto, perché se si tratta di libertà, essa deve essere estesa e totale. È una disposizione più morbida, diciamo, che riguarda solo la possibilità di scegliere a quali trattamenti essere o non essere sottoposti. Il DAT, così si chiama il documento firmato dal malato, può essere compilato in qualsiasi momento della vita e rimane valido fino a disposizione contraria. Ovviamente le gerarchie ecclesiastiche si oppongono a questo provvedimento e “Avvenire”, quotidiano della Cei, sta conducendo una battaglia per dimostrare che la norma è molto contraddittoria e viola il sacrosanto diritto alla vita e punta ad “agevolare la morte a richiesta”. Ciò non mi trova per niente d’accordo, pur comprendendo, da cristiano, le ragioni che motivano la Cei e Avvenire. In altri paesi, come in Svizzera in Germania e in Spagna esiste la legge sul suicidio assistito cioè quando il malato viene aiutato a togliersi la vita con l’aiuto di un medico o sull’eutanasia passiva cioè quando più semplicemente vengono interrotte le cure. In Italia invece chissà mai se e quando ci sarà. Ma intanto sarebbe già un passo importante sul cammino dei diritti civili approvare questo provvedimento, senza ulteriori lungaggini e manfrine politiche.
APRILE 2017