di Nello De Pascalis
Sapendo che d’inverno andavo a pesca quasi tutti i giorni, mi aveva manifestato il desiderio di unirsi a me, ma senza ricorrere a levatacce. Quel mattino, alle 8.30, ero sotto la sua casa. Prima tappa: S. Maria al Bagno, bar Piccadilly, un caffè cremoso corretto all’anice e via. Un vento di grecale a raffiche tormentava la gelida costa. Il mare furioso, spumava. Le previsioni del tempo avevano azzeccato in pieno ed io mi ero premunito con una tenuta che calzava a puntino; solo le mani sentivo intorpidite.
Scelsi una posta che mi dava il vento di spalla e cominciai a pasturare. Il mio amico andava piuttosto leggero e presto fu sopraffatto dal vento dei Balcani; il suo viso divenne livido. “Debbo muovermi – disse – sennò rischio l’infarto”, e andò a scarpinare sulla pineta. Intanto il mare era pieno di aguglie che schivavano l’esca. Quando il mio amico tornò con un fascio di rucola, avevo pescato solo un’aguglia e mi accingevo a cambiare posta. Notai il suo viso ancora livido come le mani: lo scapolare non gli aveva procurato i benefici sperati e persisteva lo shock termico.
Ci spostammo verso il centro abitato, dietro al trullo, dove pescai un’occhiata dalla pezzatura ridotta. Il mio amico non riusciva a stare né in piedi, né seduto, sicché fece un salto dal forno e poi riapparve con birra e panini farciti da dio, ma la situazione di estremo disagio perdurava e quindi decisi di smettere.
“Per domani, stessa ora?”, gli chiesi giunti sotto casa. “Ffanculo – mi disse – debbo prima metabolizzare tutto il freddo di oggi”.