Italieni 1

di Paolo Vincenti

Spiaggia Nizza burkini Laoconte

Vietato andare in spiaggi col burkini! Questa intemerata del Sindaco di Nizza sta facendo il giro del globo mediatico. Posto che un provvedimento come questo è figlio della reazione emotiva all’attentato di luglio a Nizza da parte dell’Isis, l’opinione pubblica si divide fra chi è favorevole al provvedimento e chi invece lo avversa. Ed anche in Italia tutti a leticare fra chi vorrebbe fare una statua al Sindaco di ferro (il sindaco, non la statua!), barbugliando che è ora di finirla con questi fanatici jiiadisti, che devono andare fuori dai nostri civilissimi paesi con la loro tradizione di oscurantismo e misoginia, e chi invece dà addosso al Sindaco fascista e xenofobo. L’uzzolo del Primo cittadino di Nizza certo vellica la pancia dello scontento che alligna fra la popolazione di tutta Europa, di fronte (o dovremmo dire “frontex”) alle massicce ondate di arrivi di profughi, e della strisciante paura per il diverso, della reazione emotiva succedanea alle stragi, che porta a far di tutta l’erba (islamica) un fascio (terrorista). Intanto, la polizia francese inizia ad elevare le prime sanzioni contro le donne musulmane che trasgrediscono il divieto; in spiaggia, insomma, le islamiche devono spogliarsi come le occidentali, non è ammesso che in nome della religione vadano così “indecentemente” coperte. Ragioni di sicurezza pubblica si intrecciano con motivazioni estetiche, questioni politiche con fattori culturali, in un guazzabuglio antropologico, etico e sociologico. Il provvedimento del Sindaco di Nizza non è nuovo né originale, occorre dire, perché pioniere in questo campo era stato il leghista Gianluca Buonanno (da poco scomparso), che da Sindaco di Varallo Sesia (Vicenza) aveva adottato sulle sue spiagge analogo provvedimento, come ricorda Alessandro Perissinotto nel suo articolo “Il divieto di burkini non riduce l’asservimento delle donne”, pubblicato su “Il Messaggero” del 18 agosto 2016. Buonanno aveva motivato il provvedimento con una tirata anti-islamica dal furore razzista che eravamo abituati a riconoscergli.

“La verità è che gli uomini di potere”, scrive Perissinotto, “continuano a decidere quanti centimetri di stoffa deve avere addosso una donna per essere decente… il divieto di indossare il burkini in quanto intervento esterno ed autoritario sulla donna, non serve a ridurne l’asservimento e la espone ad un asservimento di segno opposto. Per smontare l’ideologia di asservimento non si possono imporre livelli minimi di nudità ma bisogna educare uomini e donne alla libertà di scelta, anche all’interno di un dialogo con l’islam”. Apprendo la curiosa notizia del divieto di burkini proprio in un giorno di ferie, quando sono stravaccato in spiaggia a godermi il meritato riposo. In spiaggia, vedo donne bellissime, prosperose e molto scoperte. I costumi da bagno femminili negli ultimi anni sono diventati sempre più striminziti a tutto vantaggio di uomini allupati che fingendo di leggere il giornale o di sonnecchiare dietro gli occhiali da sole si godono invece lo spettacolo sexi. Forse per pareggiare il clima vacanziero che non mi è proprio consentaneo e la leggerezza della situazione, ho scelto una lettura che più pesante non si può: il “Laocoonte” di Lessing. Non so perché sono andato a pescare dalla mia polverosa libreria un testo del genere che penso abbia fatto scoraggiare anche gli stessi esperti del settore quando per lavoro l’hanno avuto tra le mani. Forse perché volevo leggere uno dei testi primordiali del romanticismo europeo, uno di quei testi sempre citati ma mai letti veramente. Ecco allora, se davvero difficile è seguire lo scritto del Lessing, troppo tecnico, carico, contraddittorio, tuttavia non si può non riconoscergli il grande merito di aver aperto una strada che è quella della critica estetica portata alle estreme conseguenze. Non fu il primo in ordine cronologico, ma certo in ordine di importanza. E che il dominio dell’estetica fosse importante e sganciato rispetto a quello della logica e dei sensi (come ritenevano gli illuministi francesi) è una lezione che, guarda caso, può essere applicabile alle considerazioni che vado elucubrando sulle donne giunoniche e provocanti dalle quali sono circondato in spiaggia. L’estetica vince su tutto. Alcune sono sculture di protesi. Le mie preferenze vanno alle bellezze naturali, non siliconate, anche se scontano l’inevitabile peso degli anni. Ma allora, tornando alla mia riflessione, mi chiedo: se divieto deve essere, non si può vietare solo chi è troppo vestita, ma anche chi lo è troppo poco. E se invece si vietasse la spiaggia alle donne rifatte? Cosa accadrebbe? E via col furore proibizionista.  Se volessimo essere impietosi e cattivi, diremmo: fra la limacciosa copertura di certe donne arabe e l’esibizionismo e lo spavaldo narcisismo di certe donne occidentali quale differenza c’è? Nessuna. Entrambi gli atteggiamenti sono figli di una certa sottocultura, la prima ammantata da una travisata fede nel divino e l’altra da una più che pagana fede nel terreno. Ma io non voglio dar giudizi e anzi mi godo lo spettacolo delle donne occidentali che si mostrano generosamente.

Però mi viene di pensare che l’estetica non può condizionare le norme di legge; dati alcuni livelli minimi di decoro, tutto quello che appartiene al gusto del singolo, alla sua fede, all’etnia, alle proprie convinzioni politiche, sociali, ecc. non può essere regolamentato per legge. Sennò, via di questo passo si va a ricadere nell’oscurantismo, appannaggio delle epoche buie della tirannia. Ma forse la mia è solo una speculazione agostana, una riflessione da ombrellone che lascia il tempo che trova. Allora, meglio smettere di speculare e continuare a sollazzarmi alla vista delle attraenti curve delle bellezze al bagno.

AGOSTO 2016

 

Il minimondo 5 stelle

Grillo se la prende con la stampa di casa nostra, che a suo dire confeziona solo bufale, e parla di povertà e bisogno, ma lo fa dal suo megayacht ancorato a Malindi oppure a Porto Cervo, alla faccia della coerenza. Qualche tempo fa, il leader populista si era inventato una sorta di giuria popolare che potesse controllare la veridicità delle notizie date dalla stampa, a suo dire tutte, o quasi tutte, taroccate, costruite. Un coro di buuu e pernacchie ha seppellito l’ex comico, vittima delle sue stesse intemerate. Con buona pace del leader pentastellato e del suo tribunale popolare infatti, le fake news, ribattezzate “post verità”, continueranno a galleggiare nell’etere così come ci saranno sempre il giornalismo serio e anche quello asservito, prezzolato.  Nessun Polpot alla genovese potrà fermare le bufale;  potranno solo farlo le redazioni di giornali e tv, se  le stesse bufale  non siano funzionali ai diabolici disegni orchestrati da quarto e quinto potere.

Il movimento non attraversa uno dei suoi periodi migliori. La Raggi a Roma indagata per falso e abuso d’ufficio, in Sicilia indagati per le firme false, Fico redarguito perché parla senza essere autorizzato. I laeder Grillo e Casaleggio minacciano espulsioni e pene pecuniarie per chi non si mette in riga. Un colorato e schizoide pandemonio quello dei Cinque Stelle, che assomiglia al Minimondo di “Avanti un altro”. Eppure, nonostante scandali, incoerenze e astruserie, i 5 stelle godono ancora del consenso popolare, gli errori di Beppe Grillo, i suoi avvitamenti e salti doppi e tripli, non bastano a fargli perdere voti. Ciò è esaltante da un lato, sconfortante dall’altro. Esaltante, perché dimostra quanto la democrazia nel nostro paese sia in salute, se un terzo dell’elettorato accorda la propria fiducia ad un guitto divenuto leader di un movimento di straccioni populisti. Sconfortante, perché dimostra come la sfiducia nel sistema dei partiti tradizionali, dell’esecrato establishment, da parte degli italiani, sia così profonda, talmente radicata, che dei masanielli qualsiasi vengono incoraggiati e votati, chiunque insomma, meglio dei magnaccia dello status quo. Nella crisi poi, il malcontento cresce e diventa humus per i movimenti demagogici, di protesta  ma non di proposta. E così avremo ancora a lungo a che fare con gli indignados alla pecoreccia, ossia i grillini e i loro finti salti.

GENNAIO 2017

 

La patata è buonissima

Vittorio Feltri ne ha fatta un’altra delle sue. In prima pagina, “Libero” del 10 febbraio 2017 titola ”Patata bollente”, con  riferimento alla Sindaca di Roma Virginia Raggi e alla disastrosa situazione in cui versa la Capitale. La Sindaca ha una bella “gatta da pelare” appunto, o “patata bollente”, perché, data la sua totale incapacità, nella giunta capitolina vi è una girandola di assessori che nemmeno alle porte scorrevoli della Rinascente. Il malizioso riferimento alla patata bollente però veniva fatto da quel mascalzone di Feltri per alludere alla relazione sentimentale della Sindaca, “Giulietta” Raggi, con il suo  Salvatore “Romeo”, ovvero il dipendente comunale con super stipendio per il quale la “Virgo potens”, come la definisce Feltri, aveva un occhio di riguardo. Solo che il balcone veronese della nota commedia sheaksperiana è sostituito dal tetto romano del Campidoglio dove i piccioncini si sono rifugiati per scambiarsi delle effusioni, ignari di essere ripresi dalle fotocamere degli ubiqui paparazzi.  Ora, la relazione della Raggi con Romeo, sarà vera o inventata, comunque è materiale da gossip, roba da riviste rosa, non è questo il punto, la Sindaca come tutti può scopare con chi vuole, ma Feltri sottolineava nel suo articolo un increscioso parallelo con i torbidi a base di sesso in cui è sempre stato coinvolto Berlusconi. Non per una sterile, e quanto mai fuori tempo, difesa del Cavaliere porcone, ma per avvalorare, con questo ennesimo esempio, il vecchio assunto secondo cui, da che mondo è (im)mondo, politica e sesso sono strettamente intrecciati (leggere per credere “Membri di partito”, libro della pornostar Rossana Doll). E’ successo il finimondo: un diluvio di attacchi al giornale e al suo direttore per quel titolo oltraggioso, lesivo della dignità della Sindaca Raggi, violento, sessista.  Bipartisan, la solidarietà alla Sindaca, che almeno per un giorno ha potuto godere di unanimità di consensi, cosa che per tutto l’arco del suo mandato potrà ben scordarsi. Miracolo di Feltri che è riuscito ad unire tutti, centro destra, centro sinistra e M5s contro di lui e a favore della Virginia nazionale. Ma diamine! Che ha detto mai Feltri?  E’ un grande giornalista, vecchia scuola, colto, preparato, non è mica il diavolo. E se anche lo fosse, allora io mi candido a fare il suo avvocato.  Intanto “patata bollente” è un titolo formidabile, azzeccatissimo, nel suo osceno rimando a piccanti retroscena, a mezzi segreti o mezze verità, a chiacchiere da bar sport, a pettegolezzi da corridoio, a film di serie b degli anni Settanta, a pruderie, a boccaccesche trame ed erotiche storielle, insomma a tutto ciò che è sottinteso, allusione, detto e non detto, ammiccamento, citazione indiretta, a tutto ciò che è così intimamente italiano. Che barba, il politicamente corretto!  E poi, il sessismo è innanzitutto nella testa di chi lo pensa. Quello delle stesse femministe, che con il loro bellicoso furore ghettizzano la donna e la condannano a quell’esclusione che invece denunciano.  Giornalisticamente, un titolo ad effetto è un colpo riuscito.  Gobbo, ma riuscito. E determina il successo di vendite di un giornale. Poi “Libero” è “libero”, appunto, ca va sans dire. Non a caso si parla di linea editoriale, di stile, di target. Chi acquista Libero, ma potrei citare anche “Il Giornale”, come “Il fatto quotidiano”, come “Il Manifesto”, sa a che cosa va incontro. Anzi, a proposito del “Manifesto”, è il Direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti a ricordare, in difesa di Feltri, che qualche anno fa, all’indomani dell’elezione a Papa di Ratzinger il giornale comunista pubblicò un titolo più che blasfemo: “Pastore tedesco”. Io non ricordo se lessi quel titolo ma è certo che avrei riso di gusto. In quel caso però nessuno si scandalizzò e nessuno gridò alla violenza verbale. Forse perché, si chiede Feltri nel suo editoriale del 12 febbraio 2017, il giornale di sinistra ha diritto di satira e quello di destra no? “Non un cane, neppure pastore tedesco, ebbe parole di biasimo per il direttore che aveva ideato quel titolo da brivido e fortemente offensivo”, lamenta Feltri. “Da questo episodio si evince che è lecito dare della bestia al Papa, mentre è vietato parlare delle patate bollenti servite in Campidoglio”. Ma intanto, il blog di Beppe Grillo da l’indirizzo mail di Libero ed è chiaro che si scatena una gragnuola di insulti ai due direttori Feltri e Senaldi, da parte degli elettori 5 stelle. La Raggi viene chiamata a parlare anche al TG2 e non perde occasione per denunciare lo squallido attacco sessista da parte del giornale e lanciare il sospetto che in Italia buona parte della popolazione sia ancora tremendamente maschilista. Certi giornali comunque in Italia hanno bisogno di pompare un po’ sui titoli, di essere provocatori, irriverenti, per sopravvivere. E non ci si stupisce mica di una parolaccia in prima pagina. Ci si stupirebbe se fra le mani si avesse “Il Corriere della sera” o “Repubblica”. Si può leggere il quotidiano più compassato e istituzionale gradendo parimenti la lettura di quello più fazioso e scorretto. Anzi, è più bello, ed è un sano esercizio di libertà di pensiero,  leggerli insieme, come mangiare patate e cozze. Basta con il linciaggio di Vittorio Feltri. Buonisti e benpensanti: la patata è buonissima.

FEBBRAIO 2017

 

 

Ci mancava l’UNAR

Ora, dell’esistenza di un ufficio chiamato Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) ben pochi erano a conoscenza. Trattasi di un ufficio, addirittura, che dipende da Palazzo Chigi.  Ancor meno conoscevamo la faccia del suo presidente, Francesco Spano, che mi pare il solito fighetto col culo parato. Questo ufficio è stato destinatario anche quest’anno, come gli altri anni, di un discreto finanziamento da parte della Comunità Europea per un progetto legato all’inclusione sociale, una di quelle formule eteree, intangibili, che dicono tutto per non dire niente, coniate solo per legittimare il sempiterno fotti fotti italieno. Si tratta di uno di quegli enti carrozzoni creati allo scopo di distribuire prebende e poltrone. Fin qui niente di straordinario. Ma noi siamo indulgenti, bisogna che questi giovini, come Spano, sbarchino il lunario in qualche modo. Si scopre però, attraverso un servizio de “Le iene” (Italia uno) che alcuni di questi circoli gay accreditati presso l’Unar in realtà erano bordelli di lusso, laddove insieme alle saune e massaggi si praticavano anche prestazioni sessuali. E va be’, ora si esagera. Si fa “casino” coi fondi pubblici. E “che minchia”!  “Sti cazzi!”. Se fossi un estremista omofobo, potrei continuare così, con una lunga oscena tiritera di allusive scurrilità. Meno male che ne ho viste tante nella vita e che sono solo un disimpegnato ormai difficile all’indignazione e ancor più duro alla (finta) invettiva morale. È chiaro però che alcune forze politiche, specie quelle di centro destra e destra, meno sensibili alle minoranze protette, si avventino sulla preda chiedendo a gran voce le dimissioni dello staff dirigenziale dell’Unar e addirittura la sua chiusura. È chiaro che il popolo minuto si scandalizzi di fronte a queste malversazioni e riempia di insulti e minacce l’ente. Ma, amici dell’Unar, ce le chiamiamo proprio! Di fronte a questi episodi non si fa altro che alimentare il disprezzo razzista e il qualunquismo sciovinista nei confronti dei gay. Perché non si fanno i controlli dovuti, prima di accreditare circoli in cui si tengono orge e festini?  Un po’ di coerenza, per Bacco! Un po’ di ordine, per Diana!

FEBBRAIO 2017

 

 

Autostrade per L’Italia. La passione di muovere il Paese

Percorrere l’autostrada A1 qualche giorno fa è stata un’impresa titanica, un walzer di interruzioni, un calvario, una folle gimkana. Pazzesco, lavori stradali infiniti e interruzioni ogni due per tre.  L’Anas forse si è messa in mente di dover spendere milioni su milioni di euro per le ristrutturazioni, di doverli spendere proprio tutti, per far vedere al viaggiatore italiano che esiste, che è viva e lotta insieme a noi. Non bastano tutor e limiti di velocità. Accidenti all’Anas. Ma chi è il suo presidente? Ah sì, Gianni Armani: non il famoso stilista ma un omonimo. Però del re delle moda forse l’amministratore delegato di Anas qualcosa ha preso (che siano parenti?  Boh..). Cioè, anche il super manager (stipendio: 270.000 euro l’anno) tiene all’immagine, in questo caso delle autostrade italiane, e vuole rifare la line up. “Armani, cambiami il look” sembrano gridare le strade e autostrade italiane al loro Presidente, come una vecchia canzone di Baccini. L’Armani minor dunque ci si è messo d’impegno anche se finora quelle paccate di soldi le sta spendendo per gli incarichi profumati ad amici e sodali piuttosto che per le infrastrutture (come maligna la  stampa ). Ma insomma, quisquiglie. Intanto la ristrutturazione è partita e torme di incazzatissimi e imprecanti automobilisti se ne stanno accorgendo.

FEBBRAIO 2017

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