di Gianluca Virgilio
Il primo giorno di scuola, alle otto del mattino, da ogni direzione, studenti arrivano a gruppi senza zaini e sembrano cresciuti in altezza durante l’estate; arrivano insegnanti con la cartella semivuota, alla spicciolata e senza fretta. L’estate ha disteso i lineamenti degli uni e degli altri, ha riappacificato le loro vite, portandole di nuovo le une verso le altre. Ma com’è difficile il primo incontro!
Il bidello ha aperto il portone e subito si è rinchiuso nella sua gabbiola per non farsi travolgere. Gli studenti giunti per primi fanno da apripista ed ora tutti sanno dove andare, quale percorso compiere per arrivare a destinazione: l’aula scolastica assegnata ad ogni classe. E’ una gara per prendere i posti in fondo all’aula, dove si pensa che lo sguardo del professore non possa giungere mai e dove meglio ci si può nascondere. Sottrarsi all’insegnante: questa è la prima regola che lo studente impara e applica. Chi prima arriva, meglio alloggia: i più lenti, davanti al banco del professore, saranno quelli della media del nove. E’ una gara di sveltezza e di autovalutazione, cui gli studenti si sottopongono volontariamente prima di ogni verifica ufficiale.
Gli insegnanti indugiano nell’atrio della scuola, poi nella sala professori, poi ancora parlano tra loro nei corridoi. Chiedono del dirigente, per salutarlo e augurargli buon anno, ma il dirigente non c’è, oppure è troppo impegnato, ha una sede, due sedi, tre sedi, chissà… Anche i prof vorrebbero sottrarsi agli studenti che li attendono in classe. I prof più giovani discorrono della riforma della scuola e della sfortuna che hanno avuto alcuni colleghi senza posto o sbattuti chissà dove; i più anziani non sanno più che significhi riforma, ne hanno sentito parlare da quando facevano l’asilo e non si aspettano più nulla, solo qualche angheria in più e qualche soldo in meno in busta paga. Del precariato ricordano la loro personale esperienza e questo basta e avanza a ciascuno di loro. Prof giovani e anziani si guardano appena, entrambi portano dentro le orecchie un ronzio ministeriale che un po’ li disturba un po’ li intimorisce, fastidiosi acufeni riconosciuti da tempo come sintomi incurabili di una terribile malattia professionale.
Ora gli inquieti studenti stanno tutti seduti nei banchi e aspettano il professore. Sanno già chi verrà da loro alla prima ora, avendo letto il suo nome nell’orario generale, presso il banco dei bidelli. Attendono l’insegnante conosciuto con allegria o con rassegnazione, a seconda dei casi; quello sconosciuto con qualche ansia e apprensione.
L’insegnante che arriva per la prima volta in classe è un evento naturale straordinario. Nessuno che non lo provi può capirlo. Il suo ingresso nell’aula, uno contro trenta, potrebbe significare la fine, poiché trenta giovani potrebbero uccidere l’insegnante in men che non si dica, e straziarne le carni. Per converso, in quell’occasione, quale studente non si sente come una vittima predestinata del sopravveniente carnefice? Invece, una volta in classe, il rituale iniziale del reciproco nascondimento, sia che l’insegnante sieda dietro la scrivania sia che rimanga in piedi passeggiando tra i banchi degli studenti, ha termine quando tutti improvvisamente tacciono, e il prof apre la bocca per parlare e parla e dice con parole umane le cose che si devono fare; e poi parlano anche gli studenti, i più coraggiosi, e chiedono e interrogano. Allora, il nascondimento reciproco cede allo svelamento delle reciproche ragioni, anche gli studenti più nascosti dell’ultimo banco piegano il capo per vedere e farsi vedere, gli acufeni ministeriali sono ridotti al silenzio nelle orecchie del professore, e non c’è più, non c’è mai stata una riforma della scuola, mai, si è trattato sempre di un bluff ovvero di una voce messa in giro ad arte chissà da chi, forse da qualche politicante, sia che compaia in TV come un signore serio della politica oppure come una velina fallita. Ed anche il più sfigato insegnante della più ricca città d’Italia si meraviglia, alla fine dell’ora, quando saluta la classe e se ne va, che non sia rimasto vittima del primo incontro, mentre tra gli studenti si diffonde un’aria di allegria o di rassegnazione, a seconda dei casi.
Tutto sembrava difficile, e invece era così facile…
(2011)