di Antonio Devicienti
Allievo di Roberto Longhi, condirettore di Paragone, modernissima rivista che stabilisce connessioni tra arti figurative e letteratura e autore di numerosi interventi critici sulla pittura e il cinema, Attilio Bertolucci mostra da sempre nella sua poesia una particolare sensibilità per il colore e la rappresentazione soprattutto pittorica. La sua sembra essere una poesia par excellence visiva, nutrita dai toni temperati dell’autunno della Bassa parmense e da quelli bruciati della torrida estate o dalla delicatezza della vegetazione collinare e preappenninica.
Riconoscendosi nell’indole ironica e umanissima del conterraneo Parmigianino scrive un piccolo capolavoro di musicalità e d’impalpabile, ma vitalissimo movimento:
Vulcano Venere e Marte
Commovetevi tutti voi cui la gelosia
e l’amore stringono il petto doloroso
senza lasciarne mai l’area privilegiata
dagli anni ricoperta di edera e di ruggine
oh commovetevi tutti voi a questa scena
coniugale che un figlio dei miei borghi
aperti al sole d’inverno fissò sulla carta giallina
raccontando con mano impaziente e pietosa
una collera finta un’estasi tante volte aspettata
e temuta nel turbine della sorpresa gli amanti
distaccatisi e ormai ostili l’uno all’altro goccianti
piante che il mattino sonoro libera dalla bruma
e da stormi in transito qui per l’ultima volta.
(In calce la lirica reca la dicitura Parma, fine novembre, anno imprecisato, ma la datazione accertata è il 1971).