di Ferdinando Boero
Nel 1982 uscirono due film, uno italiano e uno americano, sullo stesso argomento: la fuga di un gruppo di perseguitati e le loro peripezie per sfuggire agli aguzzini che li seguivano. Quello italiano si svolge nel passato, e si riferisce ad un fatto realmente accaduto durante la seconda guerra mondiale. L’altro si svolge in un futuro distopico ambientato a Los Angeles. I fuggitivi, nel film italiano, sono contadini di un paesino toscano; nel film americano sono replicanti, macchine umane progettate per essere schiave che, alla scadenza programmata della loro esistenza, devono essere “ritirate”. Un gruppo di loro si ribella al ritiro e un cacciatore di replicanti li perseguita, uccidendoli tutti, uno ad uno.
I due film sono La notte di San Lorenzo dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, e Blade runner, di Ridley Scott. Ebbi aspre discussioni con amici cinefili perché ritenevo il film dei Taviani troppo diretto e didascalico: il messaggio era esplicito e, per me, stucchevole e scontato. Mentre il film di Scott era una fantasmagoria di situazioni, di ambiguità, di inversione dei ruoli. Il buono è davvero buono, e i cattivi sono davvero loro, i cattivi?
Il tempo, credo, mi ha dato ragione: Blade Runner è un classico del cinema, mentre La notte di San Lorenzo ha perso molto del suo smalto iniziale e nessuno lo cita negli elenchi dei preferiti.
Sto sperimentando un deja vu di questa situazione di 41 anni fa con due film sulla condizione femminile, entrambi a favore dell’autonomia di donne che si liberano dai condizionamenti della prepotenza maschile, sviluppando al meglio le loro potenzialità, come è giusto che sia.