di Rosario Coluccia
Agli inizi del 2019, prima dell’avvento del covid che ci inchiodò tutti nelle case, nelle sale cinematografiche italiane e di altri paesi circolò con un buon successo il film «Il professore e il pazzo»(«The Professor and the Madman» nell’originale), regia di Farhad Safinia, con due attori di primissimo piano come Mel Gibson e Sean Penn e altri protagonisti molto bravi. Trasposizione cinematografica di un romanzo di Simon Winchester di qualche anno prima, il film è basato su fatti reali. In Inghilterra, alla fine del secolo XIX, il professor James Murray dirige una commissione incaricata di redigere l’«Oxford English Dictionary», un imponente vocabolario della lingua inglese, la cui redazione procede lentamente data l’enorme mole di lavoro che essa comporta. Un contributo fondamentale e una scossa decisiva vengono da un singolarissimo collaboratore volontario, il dottor William Chester Minor, rinchiuso in un manicomio criminale, che manda al primo migliaia di parole e relative definizioni, riversate poi nel dizionario, che anche grazie a questo aiuto riesce ad avanzare. Non tutti i dettagli dell’ insolito rapporto tra il direttore Murray e il dottor Minor rispettano integralmente la verità (è un film, non un’opera storica). Ma, pur enfatizzando le dinamiche psicologiche e biografiche dei personaggi (non solo i due principali, altri si intersecano nelle loro vite), la trama riesce abbastanza efficacemente a restituirci la portata grandiosa di quell’impresa lessicografica e la caccia alle parole compiuta da quei due uomini.
La storia dei dizionari italiani non è sempre altrettanto singolare, ma la loro redazione richiede impegno e abilità non meno ragguardevoli. Un paio di volte ho fatto ai miei studenti una domanda intenzionalmente tendenziosa, quasi un trappola (peraltro con buone intenzioni): quante sono le parole della lingua italiana? Alcuni riflettono, ci ragionano, rispondono argomentando in vario modo. Altri, in minoranza, danno troppo rapidamente una risposta che a loro sembra convincente, perché ha il pregio dell’oggettività: le parole della lingua italiana sono quelle che si trovano nei vocabolari. Non è così, capiamo perché.