di Nello De Pascalis
La presenza costante d’una coppia di pescatori, sul tratto di costa che va dalla Reggia alle Quattro Colonne, mi aveva insospettito; era d’obbligo un sopralluogo. A fine febbraio di quell’anno sono in zona per una serata di pesca; i due sconosciuti non si vedono e m’avvio in quella direzione. A metà strada, un vecchietto combatte con la sua caloma che non vuole prendere il largo, sicché mi avvicino e gli dico che converrebbe fissare la veletta sull’altro asse, essendo mutato il vento; convintosi, la recupera e posiziona la vela in altro modo. Conosco così Dante, simpatico e cordiale ottantenne con la passione della pesca scolpita sul volto. Mi parla del suo vissuto in modo coinvolgente, mentre nuvole sparse accompagnano il sole al tramonto. “Hannu piscatu pisci crossi”, mi dice di punto in bianco, indicandomi uno sperone di roccia a quindici/venti metri di distanza che coincide con quello che intendo ispezionare. Non sa dirmi che tipo di pesce, ma aggiunge che s’è trattato di “pisci crossi, allu scuru”; già ero incuriosito di mio, ma ora mi ha messo una pulce nell’orecchio e lo sono ancora di più.
La caloma, (da mezzo fondo, con duecento ami) scivola sull’acqua, sospinta dal vento marino che la prende sul fianco. Gli chiedo se la recupera all’alba, ma col capo mi fa cenno di no, per “evitare il rischio che i calamari facciano razzie”. Rimando il sopralluogo al giorno successivo e torno verso la Reggia dove, appena giunto, avevo posato i miei attrezzi. Attendo il buio, prima d’insidiare le amate occhiate. Per due lunghissime ore non sento un tocco e non so spiegarmi il perché. Una sigaretta tira l’altra, mentre il freddo della sera avanza. Decido di rientrare.