Dai “cecamariti” un elogio dell’adulterio

di Paolo Vincenti

I cecamariti sono una nota specialità salentina, propria della cucina contadina del passato ma oggi riproposta da sagre paesane e ristoranti tipici in tutto il Salento in una grande operazione di revival anche culinario che continua a richiamare da tutto il mondo torme di turisti affetti da “salentitudine”. Sono delle frittelle salate che le nostre mamme e nonne erano bravissime a preparare e che non potevano mai mancare sulle parche mense del tempo che fu. Si tratta di un piatto povero, che oggi funge da antipasto o contorno, ma che una volta poteva costituire anche l’intero pranzo.

La ricetta è molto semplice: farina, olio, zucchina, pomodori, peperoncino, olive nere, cipolla, capperi, uova e sale e c’è chi aggiunge le acciughe. Perché sono chiamati così? La spiegazione più diffusa è la seguente: le massaie preparavano queste specialità fritte per i mariti che tornavano affamati dal duro lavoro dei campi, utilizzando spesso anche gli avanzi della settimana e facendo, per così dire, di necessità virtù. Il sapore delle frittelle era talmente buono che con simili leccornie le mogli “accecavano” i propri uomini dal piacere. Rossella Barletta mi suggerisce come molto probabile che, essendo i cecamariti un piatto povero, che più povero non si può, l’accecamento dei mariti fosse dovuto alla rabbia o alla delusione di non aver trovato niente di meglio, cioè un piatto caldo, come tutti gli altri giorni. Ma pare più convincente la prima versione, perché non credo che alcuno potesse resistere alla bontà di questi mangiarini.

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