di Raffaele Gemma
Gino Congedo, “La super-violenza del progresso tecnologico “, 1975, stucco metallico. Opera d’interesse storico, se si considera che, della medesima serie, quella con la variante della presenza di una molla al centro era inclusa nella collettiva “Verifica ’76” a cura di Toti Carpentieri con più di 40 presenze artistiche, molte delle quali si sarebbero poi affermate sia in provincia che fuori. Ora che sempre di più si diffonde l’uso della resina in scultura, non si può non considerare che questo artista costruiva da sé l’anima metallica in rete della scultura per poi ricavare con lo stucco metallico una struttura perfettamente levigata, che in apparenza può sembrare pesante e compatta, ma tutto sommato vuota e alquanto leggera. Gli umanoidi recano degli inserti meccanici sul tronco, simbolo della tecnologia in rapida evoluzione e delle linee di frattura nel cranio, metafora dell’interazione più o meno aggressiva del progresso con l’uomo.
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Franco Contini, “Elogio della lentezza”, acrilico su tela. Quel che colpisce subito, quasi inutile sottolinearlo, è il colore, la predominanza dei colori caldi e dell’arancio nelle varie tonalità fino al rosso della parte destra , dove si staglia una sorta di sole triangolare, così che si intuisce che trattasi di un paesaggio stilizzato al massimo, con delle figure segniche al centro, che potrebbero essere umane, perché no. L’uso dei colori freddi, del blu , è più limitato al centro e nella parte inferiore. Tutto appare rallentato o deformato dalla percezione alterata del tempo, come può avvenire quando si è inebriati dalla calura dell’estate salentina oppure immersi nell’estasi contemplativa di un tramonto sullo Ionio.