di Massimo Galiotta
In memoria di Rino Duma
«Da sim späten 19. Jahrhundert vielleicht berühmteste Bild einer Frau Italiens, “Luisa Sanfelice in carcere” von Gioacchino Toma (1877) gibt exemplarisch Gelegenheit, diese „imaginierte Weiblichkeit“ nachzuzeichnen, ihren normativen Charakter zu beschreiben und eine Ahnung des darin verborgenen „realen Weiblichen“ zu vermitteln»[1].
Susanne von Falkenhausen, professoressa di Storia dell’Arte dell’Università Humboldt di Berlino, con il saggio comparso nel 1981 su Kritische berichte, rivista di arte e scienze della cultura, prende in esame, come lei stessa scrive, «il quadro da cui parte un tentativo di esplorazione dell’immagine femminile nell’Italia del XIX secolo. Sia dal punto di vista dei contenuti che da quello formale (il rapporto con la storia e con il Realismo), il quadro esprime un momento di rottura che investe anche l’immagine della donna elaborata da un ceto nuovo dominante ancora in cerca di un’identità politica e culturale». L’autrice continua con l’analisi dell’opera soffermandosi su come «Le rappresentazioni di donne in carcere sono inconsuete – e citando il Bellonzi definisce il quadro come – “… uno dei massimi raggiungimenti del nostro secondo Ottocento … (Bellonzi, 1967)”» [2].
La storica dell’arte, prendendo in esame le diverse letture che la letteratura dava della figura di Luisa Sanfelice, e partendo dalla critica avversa e dalle allusioni a sfondo erotico di una «Sanfelice, donna e amante», proprie di Benedetto Croce, sino alla mistificazione ravvisabile nel romanzo del francese Alexandre Dumas, in cui «L’eroina diventa santa e martire», porta sul piano dell’attenzione l’interpretazione, altra, data dal galatinese: uscendo dal convenzionalismo letterario, «Toma si distacca sostanzialmente da questa corrente», trasformando la figura storica della Luisa Sanfelice facendola apparire come un modello «apolitico e domestico».