di Guglielmo Forges Davanzati
Nel dibattito di questi giorni, l’aumento dell’occupazione è presentato come il principale risultato positivo del Governo Meloni nel campo della politica economica. Ma così non è, per varie ragioni, nel senso che il dato necessita di essere analizzato più a fondo. Innanzitutto, occorre considerare che il fenomeno è comune a molti altri Paesi OCSE e che rientra, dunque, in una dinamica globale, imputabile, secondo molti analisti, alla ripresa successiva alla crisi sanitaria degli scorsi anni. L’Istat, infatti, certifica che l’occupazione, in Italia, è costantemente aumentata dal 2021 e che, soprattutto fino al 2022, ciò dipende soprattutto dalle misure assunte dal Governo Conte II e Draghi: superbonus 110% e PNRR. La ricerca scientifica sull’argomento mette, infatti, in luce la considerazione che le politiche del lavoro richiedono tempo – generalmente un anno e oltre – per produrre effetti significativi sull’occupazione. Ma vi è di più. Istat registra un aumento del tasso di disoccupazione, ovvero del rapporto fra numero di occupati e individui che sono alla ricerca del lavoro. È ben noto in letteratura il fenomeno del lavoratore scoraggiato: soprattutto in fasi recessive, quando la domanda di lavoro da parte delle imprese cala, è bassa la probabilità di trovare impiego e si riduce il numero di individui alla ricerca di lavoro. Si riduce, per conseguenza, il denominatore e, per una pura illusione statistica, il rapporto aumenta: in altri termini, vi è un calo della forza-lavoro che determina un aumento del tasso di occupazione, ma non del numero di occupati.