di Antonio Devicienti
: perché Versailles? perché l’epicentro di ogni testo è il nome e le opere di Jaray sono texturae di geometrie e di colori (testi concrezionati di ritmo e di spazio, di vibrazioni della luce e di rigorose campiture) : si addentra lo sguardo, allora, in una versailles di rettilinei sentieri, di prospettive incrociate (diresti che l’ottagono irregolare suggerisca la pianta di Parigi, speculum in aenigmate, mise en abîme, in questa versailles di Tess Jaray, di giardini, di boschi, di labirinti, di una città percorsa dalla mente non per attraversamenti dello spazio, ma di tempo) : il nome è, contemporaneamente, evocazione e presenza, versailles / Versailles reggia giardino e spazio materiato di tempo.
Versailles alle porte di Parigi, una versailles per
perdersi nei percorsi furibondi del pensiero, un montaggio di specchi a
moltiplicare e dilatare l’adesso dell’occhio che osserva, della mano che tesse
linee e colori sulla tela, dell’orecchio al cui orizzonte si affacciano altri
nomi (Charlottenburg? Boboli? Capodimonte? Schönbrunn?)
Vista da qui Versailles ha nome d’orizzonte che si dilata, udita da qui
Versailles ha forma di reticolo intessuto per percorsi di scienza della
memoria.