di Rosario Coluccia
Il titolo di un articolo di Isabella Bossi Fedrigotti a p. 23 del «Corriere della Sera» di sabato 12 agosto attrae la mia attenzione: «Video, musica e feste: la riminizzazione dei rifugi alpini». Non mi è chiaro il significato della parola riminizzazione, perciò consulto i vocabolari. In un paio di essi la parola non appare, vuol dire che si tratta di una parola poco usata o di nascita recente. Ma non mi fermo, non bisogna arrendersi al primo ostacolo, continuo la ricerca, per fortuna esistono sei o sette ottimi vocabolari della nostra lingua. Nel Dizionario Italiano Sabatini Coletti (DISC) trovo un vocabolo che può interessarmi: riminizzare v.tr., con rinvio a rapallizzare. Ecco il significato di questa seconda parola: ‘rendere poco gradevole una località con un’eccessiva cementificazione del paesaggio, riminizzare’. E pochi righi più sotto c’è anche il sostantivo rapallizzazione: ‘fenomeno di speculazione edilizia che si registra in piccole aree perlopiù turistiche, in cui si è verificata un’eccessiva cementificazione’.
I vocaboli di cui stiamo parlando (riminizzare e riminizzazione, rapallizzare e rapallizzazione) si sono formati applicando a parole già esistenti (in questo caso i nomi delle località di Rimini e di Rapallo) due suffissi spesso utilizzati per formare nuove parole della nostra lingua, i suffissi -izzare e -izzazione. Si tratta di un procedimento molto sfruttato. Da parole come carbone, centrale, civile, militare, sociale, ecc., applicando i suffissi che abbiamo visto, si sono formati i verbi carbonizzare, centralizzare, civilizzare, militarizzare, socializzare, ecc.; e i sostantivi collegati: carbonizzazione, centralizzazione, civilizzazione, militarizzazione, socializzazione, ecc. La lingua funziona così. Alcune forme diventano desuete, si usano sempre meno, alla fine scompaiono del tutto. E nello stesso tempo il lessico si arricchisce di continuo: si creano parole nuove, attingendo alle lingue straniere o ai dialetti o creando forme nuove con l’aggiunta di prefissi e di suffissi a una parola esistente (è questo il nostro caso) o tramite la combinazione di due parole.
Leggendo l’art. del «Corriere della Sera» tutto diventa chiaro. Vi si descrive in dettaglio (e si deplora) un fenomeno negativo che da qualche anno si intensifica: le montagne stanno assumendo le caratteristiche peggiori della località romagnola, di Rimini considerata capitale della vacanza al mare vissuta in forme deteriori. Se un tempo il paesaggio alpino era caratterizzato dal silenzio e dalla quiete e chi saliva in quota si muoveva senza rumore, cercando di non disturbare uomini e animali, quasi temendo di inquinare l’aria sottile delle cime, oggi non è più così: «la riminizzazione della montagna […] avanza anno dopo anno, facendo somigliare baite e rifugi sempre più a locali per happy hour. Ed ecco che intorno spuntano ombrelloni da spiaggia, sdraio multicolori, bandiere, striscioni, palloncini, immensi e sgargianti manufatti di platica, video che sparano immagini senza posa e, forse quel che è peggio, altoparlanti dai quali rimbombano violente musiche da discoteca».
La malasorte non colpisce solo le montagne che per loro fortuna sono un po’ difficili da raggiungere. Moltiplicata, la malasorte colpisce ovunque. Ne è danneggiato in maniera intollerabile il Salento, meta turistica la cui attrattività cresce anno per anno. Questo giornale denuncia quotidianamente i guasti che il turismo maleducato riversa sui cittadini incolpevoli; e documenta nello stesso tempo i fenomeni di malcostume generati da un’offerta turistica improvvisata e sprovvista di regole, incapace di soddisfare in maniera corretta la richiesta servizi e alloggi proveniente dalla massa crescente di turisti che nei mesi estivi viene in Salento. Trasporti inadeguati, traffico impazzito, sporcizia, inquinamento, rumori, maleducazione, altro. Mi impressionano le immagini di centinaia, forse migliaia, di giovani e giovanissimi che affollano spiagge e bagnasciuga sino all’alba, disseminando carte, plastiche, lattine e vetri. Si possono accostare ad altre immagini di quest’estate: turisti che si tuffano nei canali di Venezia, fanno la doccia nelle fontane storiche di Roma, entrano in costume da bagno in una chiesa salernitana. È il trionfo della vacanza cafona.
C’è altro. Riproduco alcune righe di un articolo del «Messaggero» di domenica 13 agosto, a p. 15. «Il vero boom di irregolarità è stato registrato a Gallipoli, nel Salento, una delle mete più gettonate dell’estate 2017, presa d’assalto soprattutto dai più giovani. Durante i controlli, i finanzieri hanno ispezionato una sfilza di alloggi dove i requisiti igienici di base non erano stati rispettati. Gli immobili, occupati soprattutto da ragazzi tra i 16 e i 28 anni, erano affollatissimi. Nelle aree balneari più famose, tra Baia Verde e Lido San Giovanni, si contano in tutto 27 residence abusivi. Ospitavano 181 giovani turisti arrivati da tutta l’Italia, tra cui 15 minorenni». Istruttiva la conclusione: «Secondo i dati raccolti da Confesercenti, le attività ricettive illegali e l’abusivismo sottraggono ogni anno circa 20 miliardi di euro di fatturato all’economia pulita».
Non è questo il turismo che vogliamo, questo non aiuta lo sviluppo. I problemi, ormai evidenti, vanno affrontati, minimizzare non serve. Suonano come una difesa d’ufficio poco convinta le parole di un’intervista che Stefano Minerva, sindaco di Gallipoli, ha rilasciato a «Nuovo Quotidiano» il 13 agosto (per ironia della sorte, proprio lo stesso giorno in cui il «Messaggero» e altri giornali riportavano i dati terrificanti che abbiamo appena visto). «Le problematiche che la città ha accumulato, per un difetto di programmazione nel passato, sono innegabili. Una risorsa come il turismo diventa un problema se ci sono le case pollaio, se cresce lo spaccio, se si occupa ogni marciapiede con i tavolini, lo diventa quando tutti i bar e i locali hanno la musica alta tutta la notte. Su questo stiamo intervenendo».
Intendiamoci, Gallipoli è solo l’esempio più clamoroso; ma fenomeni analoghi interessano, in forma diversa, molte altre località del Salento. Minimizzare non serve, serve discutere seriamente. Recentemente, su questo giornale sono intervenuti docenti universitari (Valerio Elia e Amedeo Maizza), politici (Loredana Capone e Gianfranco Chiarelli), un’imprenditrice (Chiara Montefrancesco), un giornalista (Adelmo Gaetani), altri che per brevità non posso nominare. Molte proposte, spesso idee intelligenti. I presupposti per agire non mancano.
Le parole sono importanti, aiutano a capire. Utilizzando quel suffisso -izzare di cui parlavamo all’inizio, fu creata nel 1942 una parola italiana che non molti conoscono: coventrizzare ‘radere al suolo una città tramite bombardamenti aerei’. Nasce da Coventry, una città inglese distrutta dall’aviazione tedesca nel 1940. A proposito di rapallizzare e rapallizzazione il DISC commenta: «L’assunzione antonomastica di Rapallo […] a simbolo della speculazione edilizia fa certo un torto alla bella cittadina ligure. Le autorità che la rappresentano se ne sono comprensibilmente rammaricate».
Detto altrimenti: perché vi rammaricate? Non ha senso lamentarsi, occorre agire in maniera conveniente. Se non si affrontano i problemi in maniera efficiente e inappuntabile la lingua si adegua, registra quanto accade nella società, inventa i vocaboli necessari a rappresentare la realtà, anche spiacevole. Non esistono fino ad oggi le parole *gallipolizzare ‘rendere poco gradevole una località a causa di una gestione sconsiderata del turismo’ e *gallipolizzazione ‘fenomeno di gestione sconsiderata del turismo’. Se non vogliamo che queste parole, finora inesistenti, entrino nella nostra lingua, dobbiamo correre ai ripari, dare vita a una gestione del turismo lungimirante ed educata. Ne trarranno beneficio, insieme, la lingua e la società.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 20 agosto 2017]